All’indomani del pronunciamento della Corte Costituzionale sulla vicenda del caso Antoniani/Cappato, che potrebbe comportare lo scollinamento dell’eutanasia nel nostro ordinamento giuridico, riepiloghiamo in sintesi alcune nostre convinzioni. Cercando di essere il più scarni possibile, anche a costo di apparire poco «empatici». A cura del nostro direttore don Angelo Riva.

(1) Il divieto di uccidere – anche su richiesta da parte del suicida – è il fondamento di ogni ordine morale, giuridico e anche medico. Contraddirlo, o anche solo affievolirlo, sarebbe un terremoto antropologico, uno sfregio di civiltà. Non si capirebbe più se la vita è un bene o un male, se la legge tutela il diritto o il delitto, se il medico agisce per far vivere o per far morire.

(2) La libertà di scegliere è evidentemente un valore grande, ma non assoluto. Ha dei limiti, il primo dei quali è, appunto, il «non uccidere» e «non uccidersi». «Uccidersi» non è un reato, ma resta un male morale. «Uccidere», invece, è sempre un male e anche un reato. Né si vede come potrebbe essere diversamente.

(3) Non è decisiva qui la fede religiosa. Ovviamente l’idea religiosa di un Dio a cui appartiene l’origine e la custodia della vita (l’uomo né è amministratore, ma non padrone) fa da rinforzo. Ma di per sé stiamo parlando di un principio di puro umanesimo, di civiltà laica.

(4) Situazioni di conflitto e circostanze particolari, che attenuano il divieto di uccidere, possono essere prese in considerazione: la «legittima difesa», un tempo (oggi ormai non più) anche la «pena di morte» e la «guerra giusta». Ma fra queste situazioni e circostanze particolari non rientra la sofferenza fisica o psichica di un malato. 1°: perché si hanno oggi soluzioni efficaci alla sofferenza fisica o psichica del malato (medicina palliativa, terapia del dolore, fino alla sedazione profonda e continuata), che rimane sempre «curabile» anche quando fosse «inguaribile». 2°: perché si ha motivo di dubitare della piena consapevolezza e/o libertà di una domanda di morte fatta da una persona gravemente vulnerata dalla sofferenza fisica o psichica, e che forse non sta chiedendo di morire, ma solo di non soffrire più e di non essere lasciata sola (cose per noi tecnicamente possibili e moralmente buone).

(5) C’è differenza fra «eutanasia» (il medico uccide) e «suicidio assistito» (il malato si suicida con l’aiuto determinante del medico). Entrambe le azioni però restano sia un male morale, sia un reato giuridico (rispettivamente: «omicidio del consenziente», art. 579 Codice Penale, e «assistenza/istigazione al suicidio», art. 580). Quindi, alla fine, fra «eutanasia» e «suicidio assistito» non corre differenza rilevante, tale per esempio da depenalizzare il secondo, ma non la prima (come avviene in Svizzera). C’è differenza fra un medico che passa tutto il giorno a preparare la pozione mortale e poi la somministra al malato (consenziente), e il medico che passa tutto il giorno a preparare la pozione mortale salvo lasciare poi che, all’ultimo momento, sia il malato a trangugiarla da sé? Sì, la differenza c’è: non è la stessa cosa. Ma non fino al punto da scagionare il medico nel secondo caso: medico che avrebbe dovuto trascorrere la sua giornata a salvare vite umane, non a preparare pozioni mortali.

(6) Depenalizzare l’eutanasia  espone inevitabilmente al cosiddetto «pendio scivoloso» (slippery slope): i suicidi assistiti cresceranno sempre più di numero, i controlli sull’attuazione della legge diventeranno sempre più «di manica larga», e alla fine si scivolerà – specie in tempi grami per la spesa sanitaria, dove un anziano disabile e allettato diventa un costo – dal (presunto) «diritto a morire», agito dal malato, al (reale) «dovere di morire», agito dalla società (in)civile nei suoi confronti del malato. Titolava un vecchio film horror: «non aprire quella porta». Si libererebbero mostri.

(7) Per avere conferma di questo «pendio scivoloso» non è necessario andare a vedere cosa sta succedendo in Paesi come il Belgio o l’Olanda che hanno da tempo «scollinato» sull’eutanasia. Basta porsi l’elementare quesito: se decisiva è solo la scelta individuale (e non più il bene della vita), perché dovremmo accettare la domanda di morte di un paziente oncologico, ma non quella di un depresso bipolare? O perché dovremmo dire di sì a un malato di SLA, ma non a una persona semplicemente anziana, non malata ma stanca di vivere, che ritiene esaurita la sua parabola vitale, desidera non pesare sulla propria famiglia e sulla società, e si vergogna del proprio deperimento fisico, o sportivo, o sessuale? Tra parentesi, sono questi i termini della discussione in atto in Olanda sull’allargamento della legge eutanasiaca del 2002. Se dici di sì a uno, come puoi non dire di sì a tutti? Non sarebbe – anche un solo «no» – comunque «illiberale», «discriminatorio», «integralista», «talebano»?

(8) E’ una leggenda metropolitana, anzi una collezione di bufale, dire che – senza una legge sull’eutanasia – viviamo nel limbo dell’inciviltà, esposti alle violenze di una natura matrigna che ci fa penare, a morali sacraliste che ci opprimono, a leggi liberticide che non ci permettono di essere liberi, a una medicina invasiva che ci torturerà nel corpo. Sono solo slogan, o frottole. Abbiamo la morale della persona, il principio costituzionale della libertà di cura, la tradizione ippocratica della «buona pratica clinica», il Codice di Deontologia Medica (se fossi un medico, mi sentirei offeso a sentire certe cose…). E poi la legge sul testamento biologico (219/2017), che vieta sia l’eutanasia che l’accanimento terapeutico. Siamo sicuri che il «vuoto normativo», che la Suprema Corte chiedeva al Parlamento di colmare, ci sia davvero?

(9) I casi di «omicidio pietoso» sono sempre esistiti: fin dal commilitone che, non più trasportabile e con le dita congelate durante la ritirata sul Don, chiede una pallottola nella tempia per non dover morire congelato. Cosa fare? Lasciamo che siano i giudici ad esprimersi sul singolo caso (valuteranno loro le responsabilità personali), ma non creiamo danni alla civiltà etica e giuridica con una legge che poi logora e affonda il principio, a svantaggio di tutti.

(10) C’è un documento molto bello del Comitato Nazionale di Bioetica del 30/7/2019 che illustra perfettamente le ragioni pro e contro l’eutanasia. Ripartiamo da lì per una sana e libera discussione. Il documento ha il pregio di esprimere obiettivamente «anche» la posizione cattolica. Senza la solita Cirinnà che salta su a protestare che «diamine, siamo in uno Stato laico»…