Delle volte si può viaggiare stando fermi, seduti su una sedia. E’ sufficiente aprire le orecchie, chiudere gli occhi e fermarsi ad ascoltare le parole rincorrersi avvolte da sonorità nuove, fino a farle diventare familiari.

La prima volta che ho ascoltato dal vivo Fatoumata Diawara, cantante e attrice di origini maliane, era l’estate del 2016 nei locali dell’oratorio di S. Eusebio a Como. Davanti a noi, e a lei, quasi cinquecento giovani migranti venuti a condividere le panche in legno della mensa. Fatoumata aveva voluto cantare per loro: sola, con la sua chitarra, e la sua lingua madre: il bambara. Un concerto improvvisato per i migranti da giorni accampati nei giardini della stazione.

“Le tematiche sociali hanno sempre fatto parte della mia musica ma davanti a quella situazione ho sentito che avrei dovuto raccontare al mondo le storie di quei giovani”, racconta a Il Settimanale l’artista che, domenica 18 febbraio, aprirà il suo nuovo tour con una “data zero” al Teatro Sociale di Como.

La sua non è una scelta casuale perché Como è diventata per lei la casa a cui fare ritorno tra un viaggio e l’altro: qui vivono suo marito, comasco conosciuto in Burkina Faso, suo figlio e la sua famiglia.

“Como è una città bellissima ma al tempo stesso un po’ chiusa. Attorno a me vedo crescere la diffidenza e la paura e la musica può essere un buon antidoto per provare ad abbattere muri. Perché la povertà non è solo quella economica, ma anche quella di chi vive chiuso nel suo mondo”.

L’intervista completa a pagina 9 del Settimanale in distribuzione da domani (anche nell’edizione on-line)

Parte dell’incasso verrà devoluto al Progetto Emergenza freddo promosso dal Coordinamento dei servizi per la grave marginalità e all’Associazione Lachesi per il progetto Linguaggi comuni alla ricerca di una integrazione possibile.