C’è un ippocastano famoso a Como, non tanto per le caratteristiche di monumentalità (anche se in passato per dimensioni e chioma non faceva certo brutta figura) ma per il parcheggio che lo circonda. E a cui ha dato il nome. Il “Parcheggio dell’ippocastano” è un’area di sosta da 54 posti, con tanto di area camper attrezzata, in via Aldo Moro a Como.
La triste notizia è che l’ippocastano è morto. Lo avevamo sospettato transitando da via Moro, notando quei rami spogli, ed una residua parte di fogliame che su alcuni ancora resiste. Abbiamo allora chiesto conferma ad un esperto: il comasco Emilio Trabella, botanico di fama internazionale.
«Ad un’analisi sommaria, effettuata da me proprio ieri, munito di un semplice coltellino, ho riscontrato che più di metà pianta è completamente secca, e per questo anche pericolosa. Le cause della morte? A mio avviso la responsabile è l’Armillaria mellea, il famoso chiodino, un fungo molto polifago, tendenzialmente parassita secondario, un vero e proprio killer che può portare alla morte una pianta anche in venti o trent’anni, colpendo l’apparato radicale e impedendo così alla pianta stessa di alimentarsi. Occorrerebbe effettuare una verifica più approfondita, provando però a staccare la corteccia alla base del colletto (la zona di passaggio fra il fusto e la radice, a livello del terreno, ndr) ho notato che il legno ha una struttura molto porosa, appare spugnoso, inconsistente, tipico dell’attacco di Armillaria mellea».
È possibile agire con qualche forma di trattamento conservativo?
«No, per salvare la pianta non c’è più nulla da fare. Inoltre avvicinandomi non nascondo di essermi spaventato nel notare come la corteccia si stia staccando in diversi punti. Questo significa che la pianta è asciutta, completamente disidratata. In genere una conifera, quando muore, è ricca di resina, per cui deve trascorrere diverso tempo prima che possa causare pericoli. In questo caso, invece, trattandosi di una latifoglia, la mancanza di resina fa sì che, una volta morta, i canali linfatici si asciughino e si secchino molto più velocemente, ecco perché il rischio che qualche ramo si stacchi è molto alto. In particolare occorre prestare attenzione ai rami che danno sul vialetto su cui la gente passa».
Noi abbiamo sostato qualche minuto nell’area circostante il parcheggio e il vialetto risulta una via di transito per chi è diretto verso la stazione di Como Borghi o per servirsi dell’ascensore che permette di accedere al ponte che supera il Cosia. Il rischio che alcuni rami possano cadere e far male a qualcuno è dunque più che reale.
Alla vista, come accennavamo, si notano però alcuni rami sui quali il fogliame appare ancora rigoglioso. Ciò significa che una parte della pianta potrebbe essere salvata?
«La mia supposizione è che la parte viva possa essere alimentata da alcune radici ancora non completamente intaccate dal fungo, radici che però verranno attaccate quanto prima e che porteranno in poche settimane alla definitiva morte della pianta. Lo ribadisco, il mio consiglio spassionato è di provvedere quanto prima al suo abbattimento per evitare qualsiasi rischio. Dopo di che, una volta estirpata occorrerà verificarne con certezza le cause della morte e, nel caso sia confermata la mia ipotesi, provvedere a disinfettare il terreno».