Pubblichiamo il messaggio pronunciato questa sera dal vescovo Oscar Cantoni nella festa di Sant’Abbondio, patrono della città e della diocesi
COMO, CITTÀ AMATA: «DIVENTA CIÒ CHE SEI»
Cittadini responsabili
Come abitanti di questa nostra amata città di Como, nativi o naturalizzati in essa nel corso degli anni, anche se provenienti da altri contesti culturali, siamo fieri di appartenervi, con la sua storia e le sue tradizioni, con le sue ricchezze e la sua rinomanza in tutto il mondo, felici di sentirla “nostra” anche nel suo cammino verso il futuro.
Ciò implica immediatamente di ritenerci responsabili della sua immagine e, ancor più, del benessere dei suoi abitanti, senza delegare le responsabilità ad altri. Questo equivarrebbe ad autoescluderci, rinnegando una cultura dell’accoglienza, della solidarietà e della sussidiarietà, che fanno parte del DNA della nostra civitas.
Amare Como
Come nei confronti di ogni persona, se vogliamo offrire alla città di Como il nostro contributo per un pieno e integrale sviluppo, culturale, spirituale ed economico, se vogliamo veramente rendere la nostra Città all’altezza dei tempi, come una qualsiasi Città europea, occorre innanzitutto amarla.
Noi amiamo veramente la nostra Città? Ossia: la guardiamo con occhi d’amore?
Un grande cantiere
Solo se amiamo la nostra Città di Como possiamo conoscerla veramente e interpretare le diverse realtà presenti in essa, comprese le novità sopraggiunte in questi anni, con occhi limpidi e accogliere le molteplici sfide non come un ostacolo, ma come una opportunità per renderla più bella (non solo esteticamente!), cioè più vivibile, più abitabile, più solidale, nell’accoglienza di persone provenienti da altri popoli e quindi di culture e di religioni diverse. La Città è un grande cantiere, in rapida e continua evoluzione, un ambiente in trasformazione, che obbliga ad andare al di là della semplice conservazione e difesa di un glorioso passato. La Città è protesa verso il futuro, dinamicamente, dove tutti i cittadini sono responsabilmente coinvolti, consapevoli che diritti e doveri sono i mattoni della comune cittadinanza. Con la convivialità delle differenze potremo fare di Como “una Città per l’uomo”.
Ricercare il bene comune
A maggior ragione, devono amare la Città quanti hanno ricevuto fiducia dai cittadini e sono stati eletti loro rappresentanti, nella consapevolezza che la politica è una forma egregia di carità. Non interessi di parte, ma il vero bene della città, il bene comune, storicamente realizzabile, deve contraddistinguere chi è impegnato in politica, al di là delle posizioni partitiche. Tutte le forze politiche, dunque, ma anche gli operatori della comunicazione, i responsabili a qualunque titolo, non badino all’interesse immediato e di parte! Azione concorde e bene di tutti, e di tutto l’uomo, sono lo stile del politico.
A lui si richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio. Le istituzioni politiche sono finalizzate a rendere accessibili a tutte le persone i beni necessari, materiali, culturali, morali e spirituali, per condurre un vita veramente umana (DSC, Dottrina Sociale della Chiesa – 168).
Non è mio compito suggerire ai governanti di questa Città le scelte più opportune per affrontare e risolvere, nel limite del possibile, i diversi problemi che la Città di Como presenta e che restano tuttora inevasi.
Mi auguro semplicemente che con la loro concorde azione e con coraggio, uniti a creatività e a una intelligente chiaroveggenza, i Responsabili della polis possano contribuire a rendere l’animo dei cittadini comaschi più fiducioso e dialogante. È noto che in questo periodo, come del resto in tutta Italia, accanto a una certa indifferenza verso la politica, regni un clima di sfiducia e, ancor più, almeno in alcuni, un latente risentimento. A volte vengono espressi giudizi frutto più di emotività che di riflessione critica, che non facilita, né incoraggia, una vera assunzione di responsabilità, un coinvolgimento attivo e intelligente nel bene comune, che è invece un dovere di ogni cittadino.
Povertà antiche e nuove
Se amiamo la nostra Città, occorre guardarla con occhi capaci di intravvederne il futuro a partire dalla sua vocazione specifica e far in modo che essa possa diventare veramente “ciò che è chiamata ad essere”. Sì, come ogni persona, anche ogni Città ha la sua vocazione!
Como, con il suo splendido lago, è città di frontiera, quindi una via obbligata di passaggio tra il sud e il nord d’Europa, città fondata sul commercio, sul turismo proveniente da tutto il mondo, in questi anni particolarmente sviluppato.
Como è caratterizzata dalla laboriosità dei suoi abitanti, è realtà che intende promuovere la cultura (come l’Università e i luoghi del pensiero del territorio).
È una città ricca, «ricchissimi comaschi», ebbe benevolmente a dire san Giovanni Paolo II, quando venne in visita alla nostra Città e diocesi il 4 e 5 maggio 1996, ma non mancano, ancora oggi, contesti di povertà. Quelle antiche (pensiamo ai senza fissa dimora che da anni incontriamo lungo le nostre strade) e quelle nuove, a partire dalla crisi economica, in corso ormai da un decennio, che ha registrato una perdita nel nostro territorio di oltre 2000 aziende (di tutte le dimensioni e in tutti i settori), dal 2009 a oggi.
Tra le nuove povertà vorrei sottolineare innanzitutto quella dei giovani, impossibilitati a progettare un futuro dignitoso per mancanza di prospettive di lavoro, con la difficoltà di costruire rapporti affettivi stabili, costretti a pensare, per sopravvivere, di trasferirsi all’estero.
Il mio ministero episcopale, che mi costituisce difensore dei piccoli e dei poveri, non può nemmeno tacere la presenza, in città, di famiglie che, pur avendo un lavoro, non hanno entrate sufficienti a pagare gli affitti o ad accedere a un mutuo, o a pagare le cure mediche non coperte dal sistema sanitario.
Non mancano persone che hanno perso il lavoro in età matura e che non hanno trovato un’alternativa, o chi per una crisi familiare è caduto in depressione ed è finito nell’alcool.
Non possiamo non ricordare anche la piaga della dipendenza dal gioco, che brucia i patrimoni e distrugge le relazioni personali e familiari. La provincia di Como è ai primi posti in Italia per spesa pro capite in questo ambito: è una ricerca illusoria di benessere immediato, che in realtà provoca povertà umana e materiale…
Infine un pensiero alle persone sole. La solitudine è uno dei drammi dei tempi contemporanei. Si è soli, scartati, perché anziani, malati, disabili…
Ho voluto ricordare solo alcuni esempi, abbracciando, con il pensiero, tutte le forme di povertà, perché ciascuno di noi abbia il coraggio di guardare in faccia alla realtà, riconoscerla come essa è, senza accusare nessuno, ma neanche sottacere i diversi problemi. Non affrontarli comunitariamente, non prenderne coscienza, e cercare soluzioni adeguate, per quanto è possibile, diventa un compito ineludibile.
Per una città più abitabile
Da qui il nostro impegno comune per rendere la nostra Città più abitabile, più umana per tutti, senza escludere nessuno, a partire da quanti sono svantaggiati, umiliati e calpestati, coscienti come siamo che la Città riflette la grandezza e la fragilità dei suoi abitanti.
Tante sono le persone disponibili a un volontariato a servizio delle fasce sociali più deboli, capaci di creare legami, di sperimentare la fraternità, la sete di giustizia.
In Città non sono mancati, in questi mesi, vari luoghi e molteplici occasioni di impegno per un aiuto solidale, esempi che manifestano un generoso coinvolgimento di uomini e donne nel venir incontro a chi è nel bisogno. Sono ammirato per le tante persone, cristiani e non, associazioni e gruppi, che in Città si battono con tenacia per renderla più abitabile per tutti, per una più alta qualità della vita. Ricordo, ad esempio, quanti hanno saputo mettere a disposizione un alloggio di loro proprietà, sottraendolo per un breve periodo alla logica del mercato e della rendita. È bello ricordare quanti si impegnano per rendere più fraterni gli ambienti di vita, i luoghi pubblici, dove essi vivono, le scuole, le nostre case di cura, le case di riposo per gli anziani, i luoghi del tempo libero, delle esperienze ludiche, gli ambienti sportivi, ma anche la casa circondariale.
Ricordo, ma non da ultimo, le nostre parrocchie e gli istituti religiosi presenti in Città, entrambi chiamati, per vocazione e per missione, a generare e tessere fraternità, dando così senso e risposta alla Eucaristia celebrata di domenica in domenica.
Come scriveva Madeleine Delbrel (1904-1964, Francia, assistente sociale e mistica delle periferie, dichiarata venerabile da Papa Francesco il 26 gennaio 2018): «La testimonianza di uno solo, che lo voglia o no, esprime lo stile proprio di ciascuno. La testimonianza di una Comunità, se è fedele, porta l’impronta di Cristo».
Generare amicizia
Rimane pure vigente il pericolo di chiudersi in un egoismo esasperato, nella indifferenza e di costruire un progetto delimitato da barriere psicologiche attraverso cui si rifiutano l’ospitalità e l’accoglienza (ad esempio nei confronti delle persone fragili in generale come dei fratelli migranti). Sono consapevole che questi temi hanno una rilevanza che coinvolge il nostro Paese e l’intera Europa e certamente ogni singola nazione deve assumere le proprie responsabilità. Per quanto ci riguarda, creiamo le condizioni, in noi e attorno a noi, per eliminare le prevenzioni che tuttora sussistono, la paura dell’altro, del forestiero, del diverso da noi, per fuggire la tentazione di chiudersi nell’isolamento: scelte, queste, che favoriscono e rafforzano il dramma della solitudine, il dolore della dimenticanza, l’anonimato come cifra di vita. Come comaschi siamo maggiormente esposti alla solitudine, visto il nostro carattere piuttosto riservato e introverso!
Un buon antidoto per superare le barriere psicologiche di difesa è il favorire ogni occasione per generare amicizia. Un’amicizia reale, disinteressata, fatta di confidenza, di stima profonda e di fiducia reciproca. Le persone non sono numeri. Se si comincia a chiamarle per nome, se si viene a conoscere, più a fondo, la loro storia e spesso i loro drammi interiori, se parlando si guardano negli occhi i nostri interlocutori, allora, necessariamente, cambiano anche i nostri rapporti interpersonali.
Dio nella città
La nostra Città è un luogo teologico dove la presenza di Dio non va fabbricata, ma scoperta e svelata. Dio sta già vivendo nella Città, non solo nelle numerose chiese dove si lascia incontrare nelle azioni liturgiche. Egli è vitalmente mescolato a tutti e unito a ciascuno. Per incontrare Dio, il cristiano deve scegliere di abitare consapevolmente in questa Città, in cui Dio ha voluto incarnarsi. Non può chiamarsene fuori, ma rispettare quel materiale culturale e spirituale che fanno della Città ciò che essa è. Papa Francesco ha affermato che «vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città» (EG 75).
No a ogni forma di razzismo
Chi dice di credere in Dio e “non vede” suo fratello, inganna se stesso. Come pastore, ho il dovere di sottolineare l’inconciliabilità profonda tra il cristianesimo e ogni forma di razzismo, anche sottile, come si manifesta in qualche caso tra persone che continuano a definirsi cattolici, ma vengono contraddetti dalle loro esplicite scelte.
La dignità degli anziani, dei sofferenti, degli immigrati, dei poveri e degli ultimi per i cristiani rimane sacrosanta, perché il Cristo si identifica con essi, ma nello stesso tempo mi pare importante ricordare che la dignità delle persone è pure il cardine della nostra Comunità civile (come rileva l’art. 2 della nostra Costituzione italiana). Essa deve crescere in tutte le forme di «solidarietà politica, economica e sociale».
Imparare a vedere l’altro
La più grande esclusione consiste nel non riuscire neanche a vedere l’escluso. Il prossimo è colui che ci sta accanto, ma che noi facilmente sorvoliamo, soprattutto se è il povero della porta accanto, il malato, l’anziano solo, la persona senza lavoro, il papà cacciato di casa che non sa dove essere ospitato, l’adolescente giudicato irrecuperabile negli studi. A causa della fretta, del tempo contato, siamo tentati di organizzare la Città in modo che la miseria sia facilmente sorvolata e non realmente percepita.
Spesso chi dorme per strada non viene visto come una persona, ma come parte dello stato di abbandono del paesaggio urbano: non accettiamo che tra noi avanzi la cultura dell’indifferenza, dello scarto, del rifiuto! La nostra Città, invece, può crescere solo mediante uno sguardo che “vede” l’altro, ogni altra persona, come concittadino.
Il nostro sguardo non può essere neutro. O, peggio, indifferente, freddo e distaccato. Impariamo a vedere l’altro, chiunque esso sia, con gli occhi del cuore. Allora sapremo cogliere anche i bisogni più nascosti delle persone e la nostra Città sarà veramente abitabile!
+ Oscar, vescovo