Il 1° luglio scorso il monoblocco del Valduce, tanto per intenderci, la parte più imponente dell’ospedale, più alta, che dà su via Santo Garovaglio, ha compiuto 50 anni di vita.

Il 27 settembre, a partire dalle ore 16.30, la  Congregazione delle Suore Infermiere dell’Addolorata, insieme alla Comunità dell’ospedale, a S. E. il Vescovo ed alle Istituzioni cittadine, ricorderanno l’evento celebrandolo con una Santa Messa e con una serie di interventi a ricordo.

La storia più antica dell’ospedale affonda le sue radici nelle gesta di una donna coraggiosa , Madre Giovannina Franchi, dal settembre 2014 dichiarata Beata, che nel 1853 insieme ad un gruppo di amiche fondò nella Contrada dei Vitani una casa di accoglienza per i malati poveri della città.

La seconda fase dell’ospedale data il 1879, quando Madre Giuseppina Pozzi ha guidato sedici consorelle in una proprietà donata dal canonico Bernasconi in via Dante per allargare la capacità ricettiva della struttura. Con il 20° secolo la casa di accoglienza è diventata sempre più una casa di cura, che si dotava di tecnologia all’avanguardia e si avvaleva di professionisti esperti.

Il bisogno di salute cresceva sempre più e nel 1963 l’intuizione e la lungimiranza di Madre Stefanina Casartelli, che reggeva la Congregazione in quegli anni, hanno fatto sì che partisse la progettazione e costruzione del monoblocco di cui oggi celebriamo il cinquantenario, e che venne inaugurato appunto il 1° luglio 1968.

La struttura ha visto cambiare la Sanità lombarda e nazionale: da ospedale di accoglienza a “pit stop della salute” velocissimo per curare, stabilizzare e restituire alla propria vita i cittadini che se ne sono avvalsi. Dall’ospedalizzazione selvaggia di ogni problema, anche sociale, alla de-ospedalizzazione veloce e restituzione alle proprie case. Questo monoblocco, l’ ospedale, ha visto passare tante persone, e questi sono stati la vera ricchezza di questi 50 anni passati così in fretta, più ancora delle macchine salvavita prodigiose ed  innovative. È il contenuto di umanità passato qui dentro che ha reso importante e ricco il contenitore. Suore, operatori, medici, malati, sacerdoti, neonati, moribondi, parenti, amici, conoscenti. Questi sono stati i contenuti del monoblocco e questi l’hanno reso vivo, ed indispensabile.

Le vere fondamenta di questo ospedale non vanno ricercate unicamente nella struttura edilizia, ma sono radicate nel carisma di una Beata che ha guidato la mano non solo delle sue discendenti, ma anche di tutti gli operatori che hanno speso la propria professione e talora la propria vita tra queste mura. Citare dei nomi sarebbe riduttivo per coloro che non vengono nominati. Ricordare episodi clamorosi sarebbe ingiusto verso i milioni di gesti quotidiani in odore di miracolo. Se guardo indietro nelle decine di anni che hanno caratterizzato il mio lavoro nel monoblocco non riesco però a dimenticare due episodi.

Chiamato per delle piaghe sanguinolente e marcescenti di un malato, il cui odore si sentivano fin dal corridoio, ho trovato al suo capezzale una suora che ha intuito subito il mio disagio e imbarazzo. Mi ha prontamente detto: “dottore faccia come se fosse Gesù, pensando a quello che Lui ha fatto per noi”. Non ho più sentito né odore né disagio e ho curato.

L’altro episodio si è svolto a notte fonda, ero un giovane medico e mi avevano chiamato per tre constatazioni di morte. Ero veramente a terra, avevo tanto studiato per cosa? Morivano tutti! Ecco che la suora di notte, una donna di poche decine di chili ma forte come la roccia di granito, che tutte le notti presidiava il nosocomio, mi disse: “dottore venga con me. Abbiamo sceso le scale fino al 4° piano, alla Maternità, dove si sentivano i pianti dei neonati. “Vede, Dio non ha ancora rotto il suo patto con l’Umanità”. Mi sono subito rincuorato e sono tornato in Pronto Soccorso. Ecco, a chi mi chiede quale sia il carisma di Madre Giovannina io racconto questi episodi. Non miracoli clamorosi, ma gesti, parole quotidiane per accettare e curare le miserie dei corpi che si ammalano e si disfano, cercando di dare un proprio contributo in maniera instancabile. Ma con gran cuore.

dott. Mario Guidotti

Ospedale Valduce