Giovedì 1 novembre, Solennità di Tutti i Santi, il Vescovo Oscar presiede, alle ore 17.00, il solenne pontificale in Cattedrele. Venerdì 2 novembre, Commemorazione di tutti i fedeli defunti, monsignor Cantoni presiederà la Santa Messa di suffragio alle ore 15.00 presso la Cappella del Cimitero monumentale di Como.

Per riflettere sul senso di queste due ricorrenze, riproponiamo la riflessione teologica di don Maurizio Mosconi, pubblicata sul numero 41 dell’edizione cartacea del “Settimanale della diocesi di Como”.

«A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché a loro i nostri onori quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora?». Così san Bernardo di Clairvaux (1090-1153) inizia la seconda omelia per la festa di Tutti i Santi, raccogliendo forse le perplessità di qualche monaco a riguardo della “novità” introdotta qualche tempo prima nel calendario e fissata al 1° novembre. Far domande – lo sappiamo – è proprio della persona intelligente, e non per caso i tempi in cui vive Bernardo sono quelli che avviano in Europa la teologia migliore, quella del “perché?”, della cur-iositas. Il fatto che ogni anno la liturgia di Ognissanti ci riproponga – nell’Ufficio di lettura – gli interrogativi del santo Abate è già un invito chiaro a farci qualche domanda pure noi.

Che cosa desideri veramente? 

Alle domande poste Bernardo risponde così: «I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto […], quando ne veneriamo la memoria facciamo i nostri interessi, non i loro». Essi non hanno “bisogno” di noi, noi abbiamo “bisogno” di loro: il loro soccorso e la loro intercessione ci sono necessari per arrivare «là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere». I santi peraltro non ci aiutano malvolentieri, anzi: essi «desiderano di averci con loro», ci aspettano; su questo Bernardo insiste: «Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano! Affrettiamoci verso coloro che ci aspettano!». L’esortazione si ispira a san Paolo: «Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo!» (cf Col 3,1-2); il cristiano non deve lasciarsi vincere dall’apatia, dall’indifferenza, dall’incuranza.

Quando il desiderio dei Santi “accende” il nostro desiderio di diventarlo, che cosa succede? In che cosa possiamo già ora anticipare la loro condizione? Il primo desiderio – osserva Bernardo – «è quello di godere della loro dolce compagnia, […] di essere riuniti e felici nella comunione di tutti i Santi». Contro ogni individualismo nel pensare l’esistenza (prima e dopo la morte), i vocaboli usati insistono sulla forma comunitaria: concittadini e familiari, assemblea, schiere, senato, eserciti, comunità, cori… Insieme ai Patriarchi e ai Profeti dell’Antico Testamento si distinguono le “nuove” tipologie attivate dalla presenza di Cristo: gli Apostoli in primis, poi i Martiri, i Confessori, le Vergini… Volti precisi, nomi e cognomi: nessuna confusione o imprecisione sulla “carta d’identità”; ma tutti insieme. Fu questo il miracolo vissuto dalla prima comunità cristiana, non a caso menzionata da Bernardo: «Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo?»; tutto quello che noi oggi sappiamo della chiesa di Gerusalemme, Antiochia, Corinto… documenta in abbondanza la forma della “santità popolare” suscitata dallo Spirito.

Ma allora non ti vergogni? 

La compagnia dei Santi include evidentemente la condivisione della stessa felicità e della stessa “gloria”, il cui desiderio per Bernardo va stimolato e nutrito, in tutta libertà e senza pericolo: «Ne abbiamo ogni diritto». E siccome il motivo di questa felicità è Gesù, ecco il secondo desiderio: che «Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro e noi pure facciamo con Lui la nostra apparizione nella gloria» (cf Col 3,3-4). Il pensiero di Bernardo si sposta velocemente dal momento attuale – in cui il Signore siede «alla destra del Padre» – al momento in cui «Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate» perché Egli «trasformerà il nostro corpo umiliato» rendendolo simile a Sé. Questa attesa di Gesù e della trasformazione finale suscita un’ultima considerazione: se adesso Egli «si presenta a noi non come è ora in cielo ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra» – cioè «non coronato di gloria ma circondato dalle spine dei nostri peccati» – allora «si vergogni ogni membro di far sfoggio di ricercatezza» e «comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore ma lo espongono al ridicolo». Un monito salutare, che vale anche mille anni dopo…

don MAURIZIO MOSCONI