«Volevo dire grazie a questo Paese, che mi ospita. Sto imparando la “vostra”, la “nostra” bella lingua: grazie, per tutto l’aiuto e perché così non mi sento più “straniera”». Maria, peruviana, non trattiene la commozione al termine della preghiera con cui, alla presenza del vescovo della diocesi di Como, monsignor Oscar Cantoni, nei giorni scorsi si è aperto il nuovo anno di corsi della scuola di italiano per stranieri.
I locali sono quelli della parrocchia di Como-Sant’Orsola, ma ne esistono due gemmazioni: una a Rebbio, sempre presso la parrocchia, l’altra a Cernobbio. Nella sola struttura di Sant’Orsola, sono 25 gli insegnanti, tutti volontari, che si alternano nelle aule dove, in tre turni (uno al mattino, dalle 10.00 alle 12.00, due al pomeriggio, dalle 15.00 alle 17.00 e dalle 17.00 alle 19.00), siedono fino a 120 studenti. La frequenza, gratuita, è di 18 ore settimanali e, naturalmente, ci sono diversi livelli di conoscenza della lingua.
La scuola, attiva da ottobre a maggio, è un vero e proprio laboratorio di integrazione. Seduti gli uni accanto agli altri ci sono uomini e donne di provenienze molto diverse: moltissimi dal Sud America – soprattutto Bolivia, Perù e San Salvador –, poi l’Africa – con una netta prevalenza da Nigeria, Ghana e Gambia, ma non mancano alcuni giovani da Somalia, Eritrea, Camerun – rappresentato anche l’Est Europa – Romania, Ucrania, Moldova – e persino il Medio Oriente, l’Iran. Ci sono pure intere famiglie e una giovane coppia: il bimbo più piccolo dorme in braccio al papà, l’altro scalcia nel pancione della mamma.
La scuola, nei suoi otto anni di vita, ha insegnato l’italiano a oltre mille persone di origine straniera. Questa realtà si sostiene, interamente, grazie a un contributo dall’Otto per Mille di 10mila euro, erogato dalla Caritas diocesana. La scuola è una vera e propria istituzione per la città ed è un punto di riferimento per la rete dei centri di formazione dell’età adulta, con i quali c’è una proficua collaborazione: gli alunni che necessitano di un certificato che attesti la conoscenza dell’italiano vengono ammessi, da “privatisti”, a sostenere gli esami di lingua, e, viceversa, chi frequenti i corsi professionali, e abbia bisogno di un recupero o di un rinforzo per l’italiano, viene indirizzato a Sant’Orsola.
La scuola è nata, nel 2010, raccogliendo un testimone impegnativo dalle mani delle suore di “Casa Nazareth”, una struttura che fra i molti progetti di sostegno e integrazione, era impegnata nel dare accoglienza e salvare dalla strada tante giovani prostitute, la maggior parte delle quali straniere.
«Il primo passo per affrancarle dalla loro schiavitù – ricordano i coniugi Salvatore e Lucia Currò, che sono oggi i coordinatori della scuola – era aiutarle a conoscere l’italiano, così da potersi liberare da vincoli e catene, per iniziare il proprio percorso di rinascita e autonomia».
Quando per le suore l’impegno della scuola divenne troppo gravoso, visto che aveva cominciato ad allargarsi a un’utenza più ampia, si avviò la struttura di Sant’Orsola, in crescita anno dopo anno. Una realtà attenta alle esigenze più diverse.
«Al mattino, per esempio, abbiamo avviato “Progetto Donna” – ci spiega Salvatore –. È pensato per le donne che, per motivi culturali o per gli impegni familiari, abbiano difficoltà a frequentare i corsi pomeridiani». Oppure non mancano le proposte di alcuni moduli serali, dove all’apprendimento della lingua italiana si affiancano laboratori di arte visiva e musica. «Capire e farsi capire è l’unico modo per entrare in contatto con le persone e creare relazioni», sottolineano coralmente gli insegnanti.
«Nella Chiesa nessuno è straniero – ha detto il Vescovo Oscar –. Siamo tutti figli amati, fratelli e sorelle fra di noi, che ci accogliamo reciprocamente nella crescita umana. La vostra presenza – ha aggiunto –, e il vostro impegno per un’integrazione vera e duratura, sono un dono per tutti: sentitevi accolti, con delicatezza, dai fratelli italiani».
Quanto è importante questa scuola? «Tantissimo – ci risponde sicura un’insegnante, Daniela –. Alcuni la frequentano anche solo per poter parlare con il vicino di casa. Ma abbiamo storie bellissime da raccontare. Oksana, per esempio, dall’Ucraina. Nel suo Paese aveva un diploma da insegnante. Ha cominciato qui a imparare l’italiano e ha potuto far riconoscere il suo titolo di studio, completando poi un percorso universitario in ambito infermieristico. E non è la sola: diversi nostri studenti, iniziando a “masticare” l’italiano su questi banchi, hanno riscattato i percorsi scolastici, anche di alto livello, conseguiti nei Paesi di origine. Oppure ci sono persone completamente non alfabetizzate nella propria lingua nativa, che riescono a conseguire un titolo di studio in italiano». Uno spaccato di mondo, insomma: «e la cosa più bella – è la chiosa di Daniela mentre ci saluta per tornare in classe – è che sono tutti felici di imparare, perché escono dalla solitudine e possono comunicare».