La presenza delle attività sportive presso le parrocchie riveste già da tempo un’importanza non indifferente, che è andata rafforzandosi ancor di più nel corso degli ultimi anni. Per approfondire il binomio sport-diocesi con gli occhi di una persona legata ad entrambe le realtà, abbiamo intervistato don Fabio Melucci, vicario della comunità pastorale di Sagnino, Monteolimpino e Ponte Chiasso e assistente CSI per la Diocesi di Como.
In che cosa consiste il tuo ruolo di assistente CSI e perché costituisce una figura necessaria?
«Innanzitutto si tratta di conoscere i dirigenti e gli allenatori, e in secondo luogo naturalmente anche i ragazzi. Cerco di entrare in amicizia con queste persone, perché anche se orbitano attorno alle realtà parrocchiali non sempre hanno con queste un legame diretto, e non tutti hanno la possibilità di essere accompagnati da un sacerdote; di fatto quindi io non solo conosco, ma mi faccio anche conoscere. Dopotutto l’identità del CSI è quella di “braccio destro” della Chiesa per quanto riguarda lo sport, dunque è bene che si possa instaurare un rapporto di fiducia con le persone interessate da queste attività, e non c’è fiducia senza prima amicizia. Certo, forse non definirei la figura dell’assistente come “necessaria” per la diocesi (credo che il Vangelo cammini da sé), ma è di sicuro importante per poter fare tesoro della grande presenza di giovani, preadolescenti e adolescenti, che lo sport porta con sé. Da prete, trovo che incontrare questi ragazzi, che spesso non frequentano l’oratorio, costituisca un grande spunto e possa aiutare notevolmente a capirli. Questa occasione di dialogo è dettata proprio dalla diversità dell’ambiente in cui avviene l’incontro, e dalle sue modalità: al di fuori della Chiesa, l’approccio rimane più naturale, non è in alcun modo gerarchico ed è privo di una pretesa di evangelizzazione».
Questa esperienza sta cambiando la tua maniera di guardare allo sport? Se sì, in che modo?
«Be’, prima di tutto mi sta consentendo di unire questa mia grande passione – ho sempre praticato lo sport, fino a quando sono entrato in seminario – alla fede. Di certo poi l’esperienza mi aiuta a scorgerne i lati comunicativi e le potenzialità: è un’attività che ha molta presa sui giovani e sta dilagando sempre più all’interno delle fasce di età di elementari, medie e superiori».
Rispetto ai servizi che già svolgi come vicario, questo incarico è un “di più” o è integrato al resto?
«Avendo, come già detto, sempre apprezzo lo sport, lo vedo come qualcosa di molto naturale, di certo non un “di più” che vada a costituire solo un peso da aggiungere alle mie attività di vicario, che pure non sono poche. Certo, d’altro canto è evidente che “tutto non si può fare”, e l’organizzazione non è mai semplice. Di sicuro però, avendo sperimentato quanto le attività sportive possano costituire un’esperienza positiva, tento di integrarle quanto possibile all’interno delle parrocchie dove presto servizio, cosa che abbiamo già cercato di realizzare, ad esempio, con la squadra di tennis da tavolo di Sagnino, il SanFi Team».
Quale rapporto esiste fra sport e religione? Le attività sportive possono essere un mezzo di veicolare la fede?
«Vi è più connubio fra sport e religione di quanto non si creda. Per cominciare, dobbiamo ricordare che lo sport è parte della realtà, e la realtà è di Dio. Se il Signore ci ha dato la capacità di dare vita a questa attività, con spirito creativo, significa che in qualche modo può condurci a lui. Inoltre, lo sport è fondamentalmente incontro con l’altro, e Dio è incontro ed è nell’incontro, basti solo pensare che pur di incontrarci si è incarnato, e rimane ancora con noi nel pane e nel vino. Infine, dobbiamo tenere a mente che il corpo è tempio dello Spirito Santo e dono del Signore. Non c’è forse cosa migliore dello sport per metterlo in gioco e allo stesso tempo rispettarlo, rivolgendogli l’attenzione che merita».