Giovedì 11 luglio, alle ore 18, presso la libreria la Feltrinelli di Como, in via Cesare Cantù 17, Marco Gatti – gioralista de Il Settimanale Della Diocesi di Como – presenta il suo ultimo libro: “Un padre da galera. La strada, il carcere, mio figlio”.
L’incontro è organizzato da Parolario in collaborazione con La Feltrinelli di Como. Marco Gatti dialogherà con Eletta Revelli e Katia Trinca Colonel.
Nel libro la testimonianza, diretta e toccante, di un anonimo malvivente calabrese (convenzionalmente chiamato “Ture”) sino a poco tempo fa “ospite” del Bassone di Como. Libro vero e libro crudo come vera e cruda è la vita in generale e quella di un detenuto in particolare. Un libro istruttivo che contiene più di un suggerimento a uso e consumo di tutti quelli che dietro le sbarre non ci sono mai stati, e che quindi della vita conoscono solo gli aspetti superficiali.
A rassicurare chi immaginasse di reperire nel racconto chissà quali imprevedibili sviluppi, si chiarisce che la storia di “Ture” è la normalissima routine di tanti giovani meridionali precocemente fagocitati e stritolati dagli ingranaggi della malavita, non perché al Sud “c’è poco lavoro” o “lo Stato è assente”, ma perché si ama e si agogna la “vita lussuosa”, il piacere senza regole e senza freni, il denaro facile e abbondante, ed è questa la “scala dei (dis)valori che da tempo predomina dappertutto, al Sud come al Nord e in Lussemburgo come a Honolulu. L’elemento di eccezionalità della vicenda di “Ture” è invece un altro. A “Ture” capita un evento inatteso e “col botto”: un figlio, che non lo porrà
“nelle condizioni di fare progetti, ma solo di sognare. Una vita insieme, io e lui, come dovrebbe essere normale. Anche se non ho nulla da dargli, non avendo né casa, né lavoro”.
Ed è qui che si addensa e coagula il punto di svolta, che fa della storia di “Ture” una “love story” senza “happy end”, la narrazione dell’amore (reciproco e corrisposto) tra un padre e un figlio. Una storia vera, una storia densa, e soprattutto una storia “ordinaria”, che non vuol dire banale se non altro perché l’amore – qualunque sia – non potrà mai essere tale.