Non può passare senza un ricordo, anche e soprattutto sul nostro Settimanale, la scomparsa di Angelo Soldani, decano dei giornalisti comaschi e cattolico tutto di un pezzo. Morto il 20 agosto, ha ricevuto l’ultimo saluto il giovedì 22 nella chiesa di S. Giuliano, dove aveva ricevuto il battesimo. Subito dopo la guerra, nel 1946, Angelo entrò a far parte dell’organico del quotidiano cattolico comasco “L’Ordine”, percorrendone tutti i ruoli: da fattorino a correttore di bozze, da cronista e vicedirettore; sempre accanto a don Peppino Brusadelli, che stimava come un maestro e amava come un padre. A me è capitato di stargli accanto, quando ero ancora un giovane prete, per collaborare alla redazione de “L’Ordine della Domenica” in vista della informazione diocesana, prima ancora che nascesse il Settimanale. Angelo mi era accanto non solo come istruttore ma come amico e mi chiamava familiarmente “don Carletto”. Allora, il pretino pieno di idealità e di sogni cominciava ad imparare da lui che cosa vuol dire lavorare ogni giorno sempre sotto pressione, sempre in lotta con il tempo, con un impegno duro e sofferto, ma vissuto come un servizio e una missione. Un giornalismo, il suo, appassionato per le libertà civili e per la crescita di una società degna di questo nome: non aggregazione di individui solitari e guardinghi gli uni degli altri, ma un corpo che vive di un’unica vita, un giornalismo chiamato anche a raccontare le necessità, le disgrazie, le sofferenze della gente, ma così da stimolare condivisione, sempre nel rispetto delle persone. È quello che Angelo chiamava “fedeltà agli ideali cattolici”, che devono ispirare anche il lavoro artigianale di un cronista. Un giorno mi era capitato di rispondere alla chiamata angosciata di una famiglia, sconvolta per la perdita di una persona cara che, in un momento di drammatica depressione, si era tolta la vita. Raccomandai al Soldani che il giornale, nel dare notizia del decesso, non entrasse in particolari utili solo a malsane curiosità. Angelo si stupì della mia preoccupazione e mi diede una lezione su come un giornale, tanto più se ispirato a principi cristiani, debba avvicinarsi sempre in punta di piedi al dolore di una famiglia; anche un giornalista può farsi “collaboratore” della misericordia divina, se non altro evitando di dar pena per quel che è possibile, cercando di non sacrificare mai l’assoluto rispetto dei sentimenti altrui per un gramo guadagno di “audience”. Angelo lasciò il quotidiano “L’Ordine” per raggiunti limiti di età nel 1982, ma continuò il servizio alla informazione divenendo addetto stampa del sindaco, dalla amministrazione Spallino fino a quella del sindaco Pigni. Portava quotidianamente, girando in bicicletta, i suoi comunicati alle redazioni. Veniva anche a questo nostro Settimanale negli anni in cui cominciavo il servizio di direttore. Era una occasione per rivederci da vecchi amici. Ma non mi lasciava mai, pur nella fretta imposta dal suo servizio, senza avermi raccomandato di “ricordarlo nella S. Messa”. Negli ultimi tempi mi sembrava di vedere in lui un senso indefinibile di malinconia, che lo ha portato progressivamente a ritirarsi dalla rete di intense relazioni che aveva caratterizzato la sua esistenza. Forse era la sensazione di trovarsi in un mondo totalmente cambiato, in cui non ritrovava più l’evidenza degli ideali per cui aveva sempre lottato. Adesso, mentre cammina libero e lieto per le vie della Gerusalemme celeste e vede dal versante dell’eternità le persone e le cose con sguardo di misericordia, tocca a lui “ricordare al Signore” i suoi cari, gli amici e la sua città che ha tanto amato e servito.
DON CARLO CALORI