Il Vescovo Oscar, il 31 dicembre, in Cattedrale a Como, ha presieduto il solenne pontificale con il canto del Te Deum, per ringraziare dell’anno appena trascorso e guardare al prossimo 2020. Ecco il testo dell’omelia di monsignor Cantoni.
Fine anno 2019
Questa celebrazione, nell’ ultimo giorno dell’anno, ci offre la possibilità di una sosta per valutare, alla luce della fede in Cristo crocifisso e risorto, il cammino dell’anno percorso, come singoli e come comunità. Possiamo ricordare le diverse situazioni, positive o negative, nelle quali siamo stati coinvolti, nel corso dei mesi trascorsi, per riconoscere, da una parte, i doni della grazia che Dio ci ha abbondantemente offerto, ma anche, dall’altra, per verificare se siamo stati consapevoli delle responsabilità che ci siamo assunti, per magari ammettere umilmente anche i nostri limiti e chiederne perdono.
Ci interroghiamo innanzitutto se abbiamo tutelato i diritti e gli interessi di tutti, o se abbiamo preferito puntare solo ai nostri esclusivi interessi privati o a quelli del gruppo a cui apparteniamo. Altro motivo di ripensamento è se in questo anno abbiamo imparato a superare antiche polemiche, incomprensioni e linguaggi aspri, diffondendo attorno a noi una cultura del nemico a cui opporsi con ogni mezzo, a partire dalla violenza verbale. Non perdiamo questa felice occasione per verificare se abbiamo imparato, una buona volta, a superare la paura, la diffidenza e la sfiducia nei confronti dell’altro e se ci siamo sforzati di favorire una ricerca costante di ascolto e di dialogo, nella certezza che in ogni persona c’è un capitale di bene che non può andare disperso. È a causa del nostro egoismo e della nostra superbia che siamo tentati di rinchiudere gli altri in una immagine negativa, fino ad escluderli e a cancellarli dal nostro spazio vitale.
Diventare “artigiani di giustizia e di pace”, titolo che ritorna nel messaggio annuale per la giornata della pace di Papa Francesco, “implica l’impegno quotidiano ad avere uno sguardo attento e attivo che ci porta a trattare gli altri con quella misericordia e bontà con cui noi vorremmo essere trattati. Si tratta di un atteggiamento non da deboli, ma da forti, un atteggiamento che ci ricorda che non è necessario maltrattare, denigrare o schiacciare per sentirsi importanti. È la forza profetica che lo stesso Gesù Cristo ci ha insegnato, mostrandoci che la via giusta è il servizio”. (Papa Francesco, 6 settembre 2019)
Questo tempo di ripensamento che ci concediamo è occasione anche per stupirci del bene che abbiamo potuto constatare in questo anno e per ringraziare il Signore della vita e dell’amore. Una realtà che è sotto i nostri occhi e che dobbiamo avvertire come un avanzamento, un progresso nel bene comune.
Lo possiamo riconoscere, per esempio, nei non pochi genitori che seguono con premurosa attenzione i loro figli nelle varie vicissitudini della crescita; in coloro che assistono quanti sono in ogni genere di difficoltà, o si rendono presenti, con una vicinanza discreta e rispettosa, a quanti attraversano momenti di ristrettezze economiche. Siamo capaci di avvertire il bene che circola in abbondanza anche da noi?
Riconosciamo come un bene donato quanti creano alleanze per fronteggiare i problemi delle droghe, sempre più drammaticamente presenti nei nostri adolescenti, o nelle varie forme di dipendenza o di bullismo.
Non mancano nemmeno da noi imprenditori intelligenti e creativi, che si impegnano nell’affrontare le sfide della nuova economia. Non possiamo ignorare, tuttavia, alcune criticità, tuttora presenti sul nostro territorio che dobbiamo saper affrontare insieme, senza allarmismi e incolpare facilmente gli uni o gli altri. Le difficoltà non si risolvono con un colpo di bacchetta magica, né con semplici ricette di soluzioni immediate, ma con la cultura dell’incontro fra fratelli e sorelle, in contrapposizione alla cultura della minaccia. Penso a quanti attendono prossimità e una particolare cura, come gli anziani: essi sono una risorsa e non un peso da scartare; non dimentichiamo le tante persone vulnerabili; quelle che vivono con disabilita’; i bambini che vanno protetti dalla pervasività generata dai media e dall’uso eccessivo degli smartphone, che assorbono tempo, sottraendolo alle indispensabili relazioni familiari e amicali. Non sorvoliamo nemmeno il complesso movimento migratorio. Vanno superate le pure pratiche assistenzialistiche, di corto respiro, per adoperarsi, invece, per una paziente costruzione di una convivialità delle differenze.
Deprecabili gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati, come la violenza sulle donne, un problema molto vivo nella nostra sosocietà. È sempre più auspicato, soprattutto nelle nuove generazioni, il rispetto, la cura e la promozione della casa comune. Il degrado ambientale e lo sperpero delle risorse sono indegni dell’umanità. La nostra casa comune ci è stata affidata dal Creatore perché noi la custodissimo e la coltivassimo. La Terra che ci è stata donata ci richiama alla gioiosa sobrietà della condivisione. Tutto questo è frutto di una lettura della situazione con gli occhi della fede in Cristo Gesù, salvatore del mondo. La fede o è incarnata nella storia o non è fede. O incide nella vita o non è fede nel Dio incarnato. Come diceva, al tempo del Concilio, l’arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro: “ La Chiesa non può essere neutrale: la sua via non è la neutralità, ma la profezia”.
In quanto poi alle diverse problematiche (anche interne) che la Chiesa sta attraversando in questo periodo storico, è necessario uno sguardo che vada al di là delle singole sisituazioni. È un tempo di purificazione, certo, che porterà non pochi frutti in un futuro non troppo lontano. D’altra parte è sempre commovente quanto già scriveva nel secolo scorso un noto scrittore inglese:
“Il cristianesimo è stato dichiarato morto infinite volte. Ma alla fine è sempre risorto, perché è fondato sulla fede in un Dio che conosce bene la strada per uscire dalla tomba!”.
+ OSCAR, Vescovo