Sabato 8 febbraio, dalle ore 21, sarà grande festa presso l’Auditorium del Collegio Gallio di Como. Protagonista della serata sarà “La Sorgente”, la comunità di accoglienza per persone con HIV e AIDS gestita da Fondazione Somaschi onlus a Como, in via Torriani. La decisione di aprirla fu uno dei frutti del Congresso eucaristico diocesano del 1997. In 20 anni “La Sorgente” ha accolto 217 persone, uomini e donne, di età compresa tra i 19 e gli 81 anni, principalmente provenienti dalla Lombardia, in particolare dalle province di Como e Varese. Al momento nella casa vivono 20 persone, a cui ne vanno aggiunte 2 che frequentano il centro in orario diurno. Accanto a loro ci sono 12 figure professionali.

Le luci spente sull’Aids fanno pensare ad una malattia ormai debellata. In realtà non è così: secondo l’Istituto Superiore di Sanità in Italia nel 2018 sono state 2.847 le nuove diagnosi di infezione da HIV, pari a 4,7 nuovi casi per 100.000 residenti. L’incidenza tra i giovani di età inferiore a 25 anni ha mostrato un picco nel 2017. Oggi sappiamo che quasi il 90% delle nuove infezioni avviene per motivi sessuali, un’esortazione ad evitare comportamenti a rischio.

A dirigere la casa alloggio è, sin dalla sua apertura, Daniele Isidori. Il Settimanale è andato a trovarlo.

 dav

Daniele, ricordaci qual è stato l’input che ha dato vita a “La Sorgente”.

« “La Sorgente” nacque nella testa dei componenti del Congresso eucaristico diocesano del 1997. L’allora vescovo Alessandro Maggiolini aveva insistito perché potesse nascere qualcosa in città destinato all’accoglienza, accudimento, cura e l’attenzione verso persone in Aids. Sul territorio di Como e della provincia non esistevano strutture come questa. Terminato il Congresso vennero messe in campo le forze della Diocesi di Como, della Caritas, delle Suore Guanelliane e della congregazione dei Padri Somaschi e si provvide alla ristrutturazione dell’ambiente che ci ospita (dietro la basilica del Crocifisso, ndr) messo a disposizione dai Padri Somaschi. Così il 20 gennaio del 2000 aprimmo le porte ai primi due ospiti. Venti giorni dopo, l’11 febbraio 2000, il vescovo Maggiolini, assieme alle autorità del territorio, inaugurò la struttura».

Grazie agli importanti passi avanti compiuti sul fronte della cura l’approccio nei confronti della malattia è cambiato nel corso degli anni. Come sono mutati i vostri obiettivi?

«In realtà per noi non è cambiato molto. Sia allora che oggi il nostro obiettivo è rimasto l’accoglienza, l’accudimento, l’accompagnamento per un pezzo di strada di chi arriva a “La Sorgente”. Tratto di strada che può essere più o meno lungo. Ci sono persone che sono rimaste solo qualche giorno, e altre che accogliamo da oltre dieci anni. Ad ogni modo i progressi della scienza ci sono stati, eccome.  Oggi una persona sieropositiva, che inizia a curarsi per tempo, ha una prospettiva di vita pari a quella di qualunque altra persona, e vive con una malattia pressoché cronica».

Gli ospiti come trascorrono la giornata?

«Dai lavori di assemblaggio, che occupano parte della mattine e del pomeriggio (1 ora e ½ circa ogni volta), un po’ monotoni e ripetitivi, ma che consentono agli ospiti di trascorrere del tempo assieme; ad attività più varie e creative, che spaziano dalla musica al teatro, dall’arte, alla pet-therapy, dal decoupage, allo yoga, dalla fotografia, alla cinematografia, proposte due volte la settimana, e che variano ogni semestre».

“La Sorgente” non è un hospice, non è il punto di arrivo di una vita. È anche vero, però, lo abbiamo detto, che l’Aids è una malattia curabile ma non guaribile. Partendo da queste premesse, il periodo di accompagnamento che voi seguite quali scopi persegue?

«Uno dei nostri obiettivi è mettere le persone che ospitiamo nelle condizioni di riacquisire forza, sicurezza, competenze e desideri per tornare a vivere. Un altro può essere, in taluni casi, accompagnare le persone fino alla fine, piuttosto che fare semplicemente un pezzo di strada insieme, prima di scegliere altre vie. Abbiamo avuto ospiti che hanno deciso di andarsene dopo un breve periodo di permanenza, perché non si trovavano a loro agio. “La Sorgente” non va bene per tutti: c’è chi la sceglie, chi in qualche modo la subisce, chi non ha alternative. In tanti hanno seguito il loro percorso, e sono tornati a riprendersi la loro dignità. Qualcun altro non ce l’ha fatta. Penso ad un clochard straniero che accogliemmo nel 2001 dagli infettivi dell’ospedale S. Anna, perché qualcuno aveva dato fuoco ai cartoni in cui dormiva, con lui dentro. Accolto, rimesso in piedi, rimase con noi circa 7-8 mesi, poi decise di tornare alla vita che faceva prima, nonostante noi non fossimo d’accordo. L’inverno successivo fu ritrovato morto assiderato in Ticosa».

Quante sono state le persone decedute a “La Sorgente”?

«46 su 217 sono morte in struttura, di altre abbiamo avuto notizia della scomparsa dopo l’uscita dalla casa alloggio, ma non sono in grado di quantificare il numero».

Qual è il rapporto che avete con la morte?

«Guardare al limite, alla fine della vita, non può non cambiare le tue prospettive. Va detto, però, che da tre anni circa non registriamo decessi, e questo offre, senza dubbio, maggiore sollievo rispetto al passato. Penso ai primi operatori, o al periodo in cui io stesso lavoravo a Nibionno, quando si registravano circa due-tre decessi al mese».

Leggete l’intervista completa sul numero di questa settimana.

Nella gallery alcune immagini dell’inaugurazione ufficiale, l’11 febbraio 2000.