Sono sei mesi ormai che il Consiglio comunale di Como ha approvato una mozione trasversale – proposta dalla consigliere comunale Patrizia Maesani, del gruppo misto, da Patrizia Lissi (Pd) e Barbara Minghetti (Svolta Civica) – per l’apertura in città di una nuova struttura di accoglienza permanente che vada ad aggiungersi a quelle già esistenti in città.

Una richiesta nata dalla constatazione di una pressione crescente nelle strutture esistenti e dalla volontà di dare continuità alle strutture provvisorie che, anche quest’anno, sono state attivate nel periodo invernale.

La rete “Vicini di strada” rinnova l’appello per i dormitori invernali

Il tema è certamente caldo e da alcune settimane il Comune di Como, con il coinvolgimento diretto del sindaco Mario Landriscina e degli assessori competenti (Corengia per i servizi sociali e Pettignano per il patrimonio), sta provando a costruire un dialogo, non sempre facile, con le realtà sociali (tra cui la Caritas, come espressione della Diocesi di Como), economiche e istituzionali del territorio.

Senza per ora riuscire, è questa la verità, a trovare una quadra attorno ad un progetto non solo realizzabile ma anche sostenibile nel tempo.

Il tema è complesso e, nelle scorse settimane, noi stessi abbiamo deciso di prendere tempo prima di scriverne, consci dei dialoghi in corso e di un percorso che sarà necessario costruire passo dopo passo.

Ci limitiamo ad alcune considerazioni nella speranza di poter contribuire ad arricchire la riflessione in corso.

Per prima cosa notiamo con interesse l’attenzione destata, non solo nella politica locale e in Consiglio comunale, ma anche in tanti cittadini sulla sorte di quanti, a Como, sono costretti a convivere con la condizione di senza dimora.

I dati presentati nei mesi scorsi in occasione del ventennale di un servizio come Porta Aperta ce l’hanno ricordato.

Una pubblicazione Caritas per raccontare i 20 anni di Porta Aperta e Centro di Ascolto

In secondo luogo, e questo è un aspetto negativo, non possiamo che constatare come il numero di persone bisognose di un tetto sia cresciuto negli ultimi anni e possa continuare a crescere come conseguenza non solo di un impoverimento generale, ma anche degli effetti, sempre più visibili, del decreto sicurezza, con la fuoriuscita dai sistemi di accoglienza di molti migranti, e di un’elevata mobilità interna al nostro Paese.

Detto questo, prima di riflettere sul dove (lo stesso assessore Pettiniano ha dichiarato di aver visionato alcuni spazi comunali nelle ultime settimane), crediamo sia necessario interrogarsi sul come per evitare spiacevoli equivoci futuri.

L’apertura di un nuovo dormitorio permanente è cosa ben diversa dal prolungare esperienze come quelle in corso nel periodo invernale. Questo perché, uscendo dal regime di temporaneità, si entra in un tipo di gestione completamente diverso che richiede impegni e costi ben superiori.

Parlare di un nuovo dormitorio (di quanti posti non si è ancora capito ndr) non significa semplicemente trovare uno spazio, ma sostenere i costi non solo delle utenze ma anche del personale chiamato a gestirlo (parliamo di una cifra che può facilmente superare i 100 mila euro in un anno).

Perché difficilmente, stando almeno alla realtà odierna, sarebbe possibile farlo con i soli volontari, a maggior ragione se l’ente gestore fosse il comune come nel caso di via Napoleona.

Diverso e più facile sarebbe se il soggetto proprietario e gestore fosse privato, magari con un contributo comunale, ma anche in questo caso l’impegno sarebbe gravoso. Chi sarebbe in grado di sostenerne il peso in termini di personale (volontario e non) e di costi?

Un secondo aspetto è quello relativo agli accessi. Una struttura permanente consentirebbe l’accesso solo a persone in possesso di documenti e regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale.

Non solo: sarebbe frequentabile solo da persone in grado di sottostare alle regole di una struttura (cosa non sempre così facile per chi vive la strada e, magari, ha problemi di carattere psichico o soffre di dipendenze).

Questo significa che l’apertura di un nuovo dormitorio, pur auspicabile, non risolverà in assoluto il dramma di chi vive in strada.

Certamente sarebbe un passo importante per la città, ma per arrivarci è necessario iniziare ad affrontare – con il contributo di tutti (anche di chi fino ad ora è rimasto a guardare) – le domande e le criticità che abbiamo provato ad esporre.

Ricordando che, come più volte anticipato, sia la tensostruttura che il dormitorio di via Sirtori, molto probabilmente, non saranno disponibili per il prossimo inverno. Resta da capire dunque come si potrà garantire un tetto alle circa 90 persone attualmente accolte.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 6 de Il Settimanale della Diocesi di Como uscito lo scorso 6 febbraio.