Mercoledì 29 aprile il Vescovo monsignor Oscar Cantoni si recherà, in forma privata, all’Ospedale Sant’Anna di Como-San Fermo. Qui, alle ore 16.00, nella cappella del nosocomio il Vescovo presiederà la Santa Messa. «La liturgia – ricorda il cappellano padre Alessandro Viganò – si terrà a porte chiuse. Chi lo desidera, però, potrà partecipare sintonizzandosi sul canale 0 (zero) degli apparecchi televisivi nelle camere di degenza. Il servizio viene messo a dispozione gratuitamente». «Pregheremo per i medici, per il personale, per i cappellani, per gli assistenti spirituali e per tutte le persone defunte in queste settimane a causa del contagio da coronavirus», spiega lo stesso Vescovo Oscar.
Già domenica scorsa, 26 aprile, monsignor Cantoni aveva presieduto la Santa Messa dal Santuario dei Santi Fermo e Lorenzo in San Fermo, presente lo stesso cappellano padre Viganò, con un’intenzione di preghiera particolare per tutte le realtà sanitarie e socio-assistenziali presenti sul territorio diocesano. Nella sua omelia il Vescovo, che ha pregato in modo particolare per tutti coloro che operano in queste strutture, per gli ammalati e per le loro famiglie, ha richiamato, fortemente, al dovere della speranza, nonostante le difficoltà e le fatiche della pandemia. «Davvero una grande gioia – osserva padre Alessandro – avere con noi mercoledì il Vescovo, nel giorno della ricorrenza liturgica di santa Caterina da Siena. Sarà un momento di preghiera e di comunione spirituale per chiedere consolazione per tutti coloro che si trovano nella sofferenza». Come domenica, anche mercoledì verrà recitata la preghiera del malato scritta dal padre camilliano Arnaldo Pangrazzi.
Intervistato nelle scorse settimane dal nostro giornale in edizione cartacea su come, in Ospedale, si sta affrontando l’epidemia da coronavirus, padre Viganò osservava che si sta affrontando «una battaglia. Durissima e furiosa… è presto per tirare conclusioni. Lo faremo a suo tempo. Però alcune cose si intuiscono già. Questa crisi ci chiede una profonda conversione. Forse da quel troppo attivismo che ci caratterizzava prima. Troppi affanni, troppe cose da fare. Dobbiamo ritrovare l’essenziale. La nudità di una testimonianza semplice. Incontrare le persone, incoraggiare, sostenere, confortare. Con parole semplici. Vivere la comune umanità con la sola luce del vangelo».
«Forse in passato – aggiunge ancora padre Alessandro – abbiamo accumulato troppi ritualismi, troppi orpelli, troppe strutture. La gente va incontrata così com’è, nella sua umanità che si sforza di amare, di fare il bene, di accudire, di prendersi cura dei propri cari, così come può. Il coronavirus ci sta facendo fare un grande digiuno… Ci sta facendo vivere, anche come preti e come cappellani ospedalieri, una grande solitudine. Ma forse sarà proprio dall’esperienza di questa distanza che sapremo capire e trovare nuove strade per farci vicini a chi ha bisogno». Sempre padre Alessandro ha in diverse occasioni raccontato il proprio impegno per conservare il legame fra i ricoverati e i loro familiari, attraverso le videochiamate: una preziosa normalità, fondamentale anche per la guarigione.