Giochi di ruolo con studenti autistici per aiutarli a superare il disagio legato alle restrizioni imposte dalla pandemia. Il progetto, sostenuto da Fondazione Volta, Camera di Commercio Como-Lecco, Unione Industriali di Como e con la collaborazione dell’Ufficio Scolastico provinciale, è guidato dalla dott.ssa Aurora Bellucci, dottore in tecniche psicologiche, professionista formata sui disturbi dello spettro autistico. Iniziato il 15 giugno, con 3 gruppi di ragazzi (la maggior parte ha tra i 15 e i 18 anni, due 13 e uno 22) composti da 5 partecipanti, per ciascuno dei quali sono stati organizzati 20 incontri, terminerà il 10 settembre. Obiettivo dell’iniziativa – che visto il particolare momento è sviluppata in modalità telematica – è potenziare abilità sociali, funzioni esecutive, teoria della mente, problem solving e capacità di cooperazione da parte dei ragazzi.
Alla dott.ssa Bellucci abbiamo rivolto alcune domande per comprendere meglio il senso di questo progetto.

Dott.ssa Bellucci: che cos’è l’autismo?

«Questa è una domanda la cui risposta è ampia e sfaccettata. Difficile rispondere in poche righe senza rischiare di trattare con superficialità un costrutto così complesso. L’autismo è una neurodiversità, una diversa organizzazione biologica derivante da una diversa espressione genetica. Le espressioni con cui l’autismo si manifesta sono molteplici e su persone diverse possono incidere fattori diversi. Per questo motivo è più corretto parlare di “spettro autistico” e “autismi”. Le principali difficoltà riscontrabili in una persona autistica sono relative all’area relazionale, sociale e comunicativa, nella maggior parte dei casi sono presenti anche peculiarità sensoriali (iper e ipo-sensorialità) che possono causare difficolta a cui si aggiungono eventuali e spesso presenti comorbilità (condizioni associate). L’autismo è un diverso “sistema operativo” che deve confrontarsi ogni giorno con hardware e software non studiati per lui quindi deve agire in una costante simulazione che porta ad estremo affaticamento del sistema. Immaginiamo un sistema operativo Ios che deve “girare” costantemente con modalità Android, i sistemi operativi esistenti non sono due ma svariati. È riduttivo e svilente racchiuderne uno in una bolla blu. Vedo piuttosto il caleidoscopio di colori che va a formare la biodiversità umana.

Sarebbe opportuno iniziare a pensare l’autismo in termini culturali. Le persone autistiche vedono il mondo in maniera diversa, è una “cultura” differente che incontra difficoltà in un ambiente culturale diverso dal proprio. Parliamo di un sistema operativo diverso non di un sistema operativo con dei bug di sistema. È un sistema operativo a sé stante che può funzionare anche perfettamente se messo nelle condizioni di poterlo fare.

Per finire vorrei ricordare che la vita determina il suo successo attraverso il cambiamento e la diversità. È importante guardare anche ai punti di forza dei nostri ragazzi, che sono molteplici: l’attenzione per i dettagli, la capacità trovare velocemente gli errori, la capacità di riconoscere schemi e ricorrenze, un iperfocus che permette di mantenere l’attenzione su compiti complessi, il pensiero logico, il perfezionismo».

Perché questo progetto sui giochi di ruolo?

«L’apprendimento attraverso il gioco di ruolo è una modalità di intervento molto utilizzata all’estero (sono molte le ricerche e gli studi su questo genere di approccio) per potenziare varie abilità, soprattutto sociali. In Italia siamo ancora in pochi ad utilizzare questa metodologia ma è molto efficace in quanto i partecipanti possono agire in un luogo protetto e liberi da sé stessi in quanto stanno “ruolando” un individuo diverso da loro, pertanto possono sperimentare liberamente, non saranno loro a fare scelte sconvenienti, ma l’elfo druido o il dragonide barbaro però, come nella realtà, nel gioco di ruolo ogni azione ha conseguenze che generano apprendimento. Le scene narrate sono costruite ad hoc al fine di favorire apprendimenti specifici.
Sono già un paio d’anni che utilizzo questa metodologia, in seguito al lockdown ho pensato che fosse una buona idea tentare di sfruttare la tecnologia e trasferire il laboratorio in ambiente virtuale attraverso il progetto formulato per Fondazione Volta. Devo dire che è stato accolto positivamente e sta funzionando bene. Certamente i risultati migliori sono apprezzabili nella versione “dal vivo” ma in questo momento di impossibilità si è rivelata un’ottima alternativa».

Leggete l’intervista completa sul numero in uscita questa settimana.