I riders che lavorano per Just Eat, una delle principali piattaforme di food delivery, saranno assunti con un contratto di lavoro subordinato a partire dal gennaio 2021. L’annuncio è stato dato dal country manager dell’azienda, Daniele Contini, il 10 novembre scorso, in un comunicato stampa.

Da anni, con l’arrivo in Italia delle aziende del food delivery, si discute delle condizioni lavorative a cui sono costretti a sottostare i “ciclofattorini”. La questione ha assunto oggi una rilevanza maggiore: con il primo lockdown le consegne delle principali piattaforme di food delivery sono esplose.

Nei mesi di marzo e aprile 2020 l’utilizzo di questi servizi è cresciuto del 70% rispetto al periodo precedente, secondo un’indagine di GfK Sinottica. Sono diverse le aziende attive in Italia nel settore, offrono servizi simili e tutte funzionano attraverso le applicazioni di cui sono proprietarie. Collegandosi all’app i clienti possono ordinare cibo dai ristoratori locali, selezionando dal menù di ogni locale i piatti preferiti. Dall’estremità opposta dello schermo nero un rider si vedrà comparire la notifica con la possibilità di accettare l’ordine.

«Hai 30 secondi per accettarla, altrimenti si cancella da sola» racconta in una pausa dalle consegne H., 23 anni, di Como.

Lavora per Just Eat a Milano. Non conosce nessuno che lavori a Como: qui le consegne sono meno numerose e più faticose, viste le salite, e molti fanno i pendolari, in treno, per lavorare su Milano. «Quando accetti la consegna l’app ti mostra dove devi andare connettendosi a Google Maps, e solo a quel punto sai la distanza che dovrai percorrere.

La prima tappa è al ristorante: arrivi e a loro dai il codice della consegna. Se non è ancora pronta devi aspettare; quando avevo appena iniziato Just Eat pagava per questi momenti di attesa, ora non più. Nonostante questo rimane quella che paga meglio, secondo me».

Dal ristorante la tappa successiva è l’indirizzo fornito dal cliente. Ogni consegna è pagata in base alla distanza percorsa e il compenso del rider dipende da quanti km percorrerà. Just Eat paga settimanalmente. H., che ha partita IVA in quanto lavoratore autonomo, riesce a guadagnare fino a 350€ a settimana che vengono accreditati direttamente sul conto, ma su cui dovrà pagare le tasse alla fine dell’anno.

«Mediamente faccio 10 consegne al giorno, ogni tanto anche 14 o 15, lavorando 8 ore. I weekend sono i momenti dove si lavora di più, se sono stanco mi prendo il lunedì libero. Ogni mercoledì prenoto i turni, il giovedì mi fanno sapere se sono stati accettati e così mi organizzo».

I turni si prenotano in base ad un punteggio che ti permette di classificarti: più sei in alto nella classifica, prima verranno prese in considerazione le tue preferenze. La classifica è stilata da un algoritmo, di proprietà dell’azienda, in base a diversi parametri: la velocità delle consegne, il tasso di accettazione, il numero di consegne effettuate… chi riesce a lavorare di più e meglio si aggiudica la possibilità di lavorare nelle zone e nelle fasce orarie migliori, che gli permetteranno di ricevere più consegne e quindi lavorare di più. Non esistono ferie, non esiste malattia: ogni assenza dal lavoro comporta una perdita di posizioni nella classifica e pesa direttamente sulle tasche del rider.

«Lavoro anche se piove – continua H. – e in quei casi è pericoloso perché le strade bagnate sono scivolose. A me non è mai successo nulla, per fortuna, ma se ci si fa male non ci sono tutele da parte dell’azienda. La stessa cosa per il Covid: mascherina, guanti e gel me li sto comprando io».

Gli chiedo se ha paura di prendersi il virus e ride della domanda ingenua: «Ho paura come tutti, ma servono i soldi». Lo scorso lockdown H. non ha lavorato, mentre ora le restrizioni più leggere gli permettono di prendere il treno per Milano.

«Sarà meglio di ora» commenta sul fatto che dal 2021 sarà considerato un lavoratore dipendente.
«Sarà più sicuro, avremo più tutele. Se però troverò un altro lavoro, meglio ancora».

Tommaso Siviero