Un Natale essenziale, nel quale fermarci a contemplare il mistero dell’Incarnazione, guardando a tutte le persone che hanno sofferto e che, purtroppo, continuano a soffrire a causa della pandemia. Questo l’invito del Vescovo, monsignor Oscar Cantoni, nel solenne pontificale della mattina di Natale, presieduto in Cattedrale venerdì 25 dicembre. Qui di seguito il testo integrale dell’omelia.

È un Natale del tutto particolare quello di quest’anno, ridotto all’essenziale, senza i troppi orpelli di un recente passato che si sono poi rivelati cosi ingombranti da non avere più tempo per poter fissare l’attenzione su Colui che a Natale attendiamo e accogliamo nella fede, il vero festeggiato, il Signore Gesù, parola del Padre fatta carne. In questo tempo così tragico per la pandemia ancora in corso, abbiamo potuto prepararci a questo giorno di Natale con una disposizione speciale, mossi dal solo desiderio di incontrarci con Colui che attendiamo, per ritrovare attraverso di Lui il gusto della festa, dell’armonia interiore e la gioia della fraternità attraverso relazioni vere e intense con gli altri, di cui non possiamo fare a meno.

Le poche luci sulle strade e sui balconi delle case non ci hanno invogliato a fare festa, né gli inviti consumistici sono bastati a convincerci della bontà delle loro intenzioni. Abbiamo capito che la luce vera, quella che scalda i cuori e che rassicura, viene da un altrove, scende dall’alto come dono di Dio, come una consolazione che, sola, ridona speranza e che si mantiene oltre lo spegnersi delle tenue luci che il mondo ci offre. Viene nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo“: è la certezza di fede attraverso la quale non ci sentiamo più oppressi dalle tenebre che tanto hanno oscurato il nostro volto in questi mesi di pandemia.

Abbiamo intravisto il volto triste di chi piange la perdita di persone care a cui non ha potuto offrire l’estremo saluto. Siamo stati costretti a rinunciare a ogni tipo di relazione, condannati alla solitudine che ci ha chiuso in noi stessi. Genera tristezza la situazione di tante famiglie disgregate che non hanno saputo affrontare la crisi e si sono arrese. E ancora abbiamo dolorosamente constatato la impossibilità di vivere momenti comunitari destinati al confronto, alla preghiera, alla ricerca, che ci rendono solidali gli uni gli altri e che ci aiutano a fraternizzare. Oggi, invece, ci è stata donata la luce, quella che viene da Dio, quella che ci rimette in cuore il desiderio di superare la paura e di rialzarci per affrontare la realtà, quella ordinaria, abitata dal Dio con noi, venuto a condividere la nostra stessa sorte.

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria“. Dio è talmente grande che ha il potere di farsi piccolo, Dio è talmente potente che sceglie di diventare bambino, di farsi debole, di presentarsi fragile, così da piegarsi sulla umanità stanca e sofferente e permettere a noi di poterlo incontrare. Come insegna Sant’Agostino: “Con la sua nascita egli ha creato un collirio per guarire gli occhi del nostro cuore e permetterci di vedere la sua maestà in mezzo alle sue umiliazioni. Ecco perché il Verbo si è fatto carne e ha dimorato tra noi. Egli ha guarito i nostri occhi. Qual è stato il risultato? Noi abbiamo visto la sua Gloria!” (Sermoni su San Giovanni 3,8). Questa crisi pandemica, al di là dei danni che ci ha provocato e dei lutti che ha generato, ci costringe a rivedere l’immagine di Dio che ci siamo costruiti con la nostra sapienza umana. Il Dio che si rivela in Gesù, nato da Maria, fatto uomo come noi, è infatti un Dio umile, che non è venuto a portarci dettagliate spiegazioni, ma semplicemente a condividere la nostra fragilità e debolezza. E’ dentro questa condizione che Dio si manifesta come amore, tenerezza e misericordia.