Padre Marco Turra è un missionario della Consolata, originario della Brianza, ma fortemente legato a Como e alla nostra diocesi dove è nata la sua vocazione e dove ha studiato per alcuni anni nel seminario diocesano. Ora vive in Tanzania nella città di Ikonda.
Io non sono nativo della diocesi di Como, ma con essa mi lega un debito che mai riuscirò ad estinguere. Cresciuto in Brianza, decisi dopo le scuole medie di frequentare il Liceo Ginnasio A. Volta di Como. Qui conobbi don Daniele Denti, col quale iniziammo un cammino che mi portò, finito il Liceo, nel seminario diocesano di Como, dove trascorsi quattro anni. è stato un periodo bellissimo di discernimento e preghiera, di studio, di fraternità, di attività pastorale intensa e appagante.
Durante un’esperienza estiva trascorsa a Londra offertami dal seminario, conobbi i missionari della Consolata. La loro comunità mi colpì per l’internazionalità: missionari europei, africani, latinoamericani vivevano insieme per annunciare il Vangelo. Fu quella la cosa principale che mi spinse a diventare uno di loro. Don Andrea Caelli, allora nostro rettore, e don Oscar Cantoni, padre spirituale, mi incoraggiarono a seguire questa strada. Fui ordinato prete molti anni dopo, dieci per l’esattezza da quando decisi di unirmi alla Consolata.
Nel frattempo avevo già fatto un’esperienza di più di due anni in Tanzania, che poi diventò la mia unica terra di missione fino ad oggi. L’esserci arrivato ancora giovane, mi permise di imparare la lingua con una certa padronanza, ma soprattutto di inserirmi in una fraternità conosciuta, ma sempre nuova, non più i missionari che studiano e si preparano per la missione, ma quelli che la vivono con tutte le fragilità legate all’inadeguatezza, l’età e i normali limiti che accomunano noi umani.
Da cinque anni a questa parte ho avuto l’incarico di lavorare al Consolata Hospital Ikonda, regione di Njombe, Tanzania. è un ospedale di più di 400 letti che opera in questo territorio da più di 50 anni, ma che ha avuto il suo più grande sviluppo dopo il 2004.
Sono molti che vengono ogni giorno da noi per curarsi anche dalle vicine regioni di Mbeya, Songea, Sumbawanga, Iringa, Morogoro. Un raggio di 500 km più o meno è quotidianamente servito dall’ospedale, alcuni vengono anche da più lontano. Oltre ai servizi che offriamo, infatti, alcuni gratuitamente, che attira tutta questa gente sono i costi delle cure che sono ancora alla portata di molti, in un paese in cui la sanità la devi pagare, eccetto una minoranza della popolazione, consistente ma sempre minoranza, che è in possesso dell’assicurazione. Io qui sono uno dei due amministratori e mi occupo di contabilità principalmente, ma svolgo anche altre piccole mansioni d’ufficio.
I primi anni qui sono stati molto duri, ancora adesso mi accompagna sempre un po’ l’inadeguatezza e la paura di non farcela. I famosi cinque pani e due pesci anche a me spesso sembrano non bastare, come fu per Filippo ai tempi di Gesù. Le forze soprattutto, la costanza di rimanere qui, una zona tutto sommato remota, eppure così frequentata. Passo le giornate lavorative quasi interamente in ufficio, cosa che certo non immaginavo quando decisi di diventare missionario. Ho impiegato del tempo a convincermi del valore di quel che sto facendo. Per il resto cerco di alimentare la passione per la filosofia e di godere del sostegno dei miei confratelli, due missionari tanzaniani, un kenyano, uno spagnolo, e poi un frate francescano italiano come me, e un’infermiera sempre italiana.
Poi ci sono tutti i volontari che passano di qui e condividono con noi qualcuno dei nostri intensi giorni. Ognuno dona quello che ha. Vi ringrazio tanto per questa possibilità che mi avete dato di trasmettervi qualcosa di quello che vivo, questo rinsalda i nostri legami e mi aiuta a sentirvi un po’ più vicini. Sentitevi anche voi parte di quei cinque pani e due pesci, pochi ma indispensabili per costruire il Regno di Dio.
padre Marco Turra
missionario della Consolata