Messe sospese? Il sospetto di essere vittime di un sopruso dello Stato laico. E quindi l’invito più o meno velato all’obiezione di coscienza e alla disobbedienza civile. Corredato da una ricercata giustificazione nel radicalismo della fede: i veri santi non sarebbero stati zitti, e non si sarebbero fatti sfilare di dosso l’Eucaristia. Cedere al diktat dello Stato è segno di una Chiesa pavida e dalla fede ormai annacquata dal secolarismo e dal «politicamente corretto»…

Sono questi alcuni degli umori circolanti in rete, sulla nostra pagina FaceBook. Sintomi di un disorientamento e di un dolore dei credenti che vanno presi sul serio, perché nascono da un sincero amore per la Chiesa e per l’Eucaristia («per me la Messa è nutrimento come il pane quotidiano – afferma Giulio -, sento il bisogno di rapportarmi con Dio in casa sua, che per me è la chiesa»).

Ma che vanno anche un po’ educati e ri-orientati secondo la verità del vangelo. Non, quindi, perché si vuole cedere alla convenienza politica del momento. Ma perché non si deve assecondare una pulsione sacralista che con la verità del vangelo ha poco da spartire.

Non tutti, ovviamente, l’hanno presa male (la restrizione alla celebrazione pubblica delle Messe). C’è anche chi se ne è fatta una ragione, e ha saputo anche trarne un piccolo, inaspettato tesoro, magari partecipando alla diretta televisiva.

Così Ornella: «Abbiamo partecipato alla Messa nella nostra casa, piccola Chiesa, come ha detto il Vescovo Oscar! Grazie!». Oppure Doriano, limpido nella sua rielaborazione di quella che è pur sempre una dolorosa privazione: «La Santa Messa quotidiana mi manca, ma sento forte che rimanere nella volontà di Dio oggi vuol dire sentire la Messa in casa con la mia famiglia in diretta tv. Ecco, non ci è mancato nulla, la Sua presenza in mezzo a noi era viva».

Molte però, dicevamo, le voci critiche. Anche con diverse buone ragioni. Come quando Giulio fa notare la fluidità del concetto di «assembramento» pericoloso per la salute pubblica: «quando andiamo al supermercato o in giro e ci si trova ai bar ai ristoranti non è la stessa cosa?». Oppure Franca: «non c’è assembramento in chiesa. Si può stare due persone per banco comodamente». Decisamente più discutibili, invece, i richiami vigorosi al radicalismo della fede, che dovrebbe motivare (ci par di capire) un rifiuto da opporre alle restrizioni governative.

«Abbiamo lasciato solo Gesù», lamenta Franca. Che prosegue: «prima di tutto bisogna adorare nostro Signore, e porre tutta la nostra fiducia in Lui. Se no di cosa parliamo?».

Per Riccardo addirittura «è stato corrotto tutto il vangelo». E ironizza: «Gesù ci chiede di andare da Lui, voi tutti che siete stanchi e oppressi: ma forse è meglio andare in una farmacia?…E toccare i lebbrosi? Non sia mai, meglio tirare dritto! Il buon samaritano? Non sia mai, laviamoci le mani con amuchina!». Fino a concludere, guardando alle conseguenze future: «che significato avranno, d’ora in poi, le omelie e tutti i discorsi dei preti sull’Eucaristia, sulla Messa.…?».

Pur nel rispetto dovuto al turbamento nella fede, che molti fratelli e sorelle possono provare, dobbiamo dissentire da queste voci. Siamo davanti a una questione di salute pubblica, da prendere molto sul serio, e non alle macchinazioni massoniche e anti-clericali di uno Stato laicista. Evitiamo perciò paragoni distorcenti e fuori luogo (anche quello di Laura: «neppure in tempo di guerra hanno sospeso le Messe»).

Ora, davanti a un’emergenza pubblica, che senso ha evocare l’obiezione di coscienza e la disobbedienza civile? Al contrario, i cristiani dovrebbero essere i primi, quanto a senso civico e a cittadinanza solidale.

Certo, se i provvedimenti statali, di fronte a un’emergenza pubblica, dovessero calpestare la libertà e i diritti della fede, l’obiezione di coscienza sarebbe doverosa. Ma a questo stiamo assistendo? Non siamo di fronte a un divieto di culto. Le Messe vengono comunque celebrate, però (temporaneamente) in forma privata, e per gravi ragioni sanitarie.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare: ma sono davvero gravi e cogenti, tali ragioni? Non bisognerebbe più credere alla forza di Dio che alla sapienza degli uomini? Diciamo con chiarezza che l’alternativa, così posta, è posta in modo sbagliato, e pure avvilente per la fede cristiana. La fede cristiana, infatti, è tutt’altro che un fondamentalismo religioso. La fede cristiana esige – non salta, né umilia – la razionalità umana (Benedetto XVI, Discorso di Ratisbona).

«Gratia supponit naturam». E la razionalità umana, in questo caso – al netto di possibili approssimazioni e opinabilità – è quella di virologi, infettivologi e responsabili dell’ordine pubblico. Non la si può saltar via così, con un tocco di bacchetta magica. La fede che sposta le montagne non è la stessa cosa di un ingenuo soprannaturalismo.

Perciò evocare, come fa Riccardo, la miracolistica cristiana («ringraziamo Bernadette, che si è fidata completamente della Madonna che le disse di mangiare l’erba e l’acqua piena di fango. Grazie Bernadette che non hai pensato di essere incosciente ma colma di amore»), porta la verità cristiana al cortocircuito fondamentalistico. La miracolistica cristiana ha tutto il suo valore e il suo significato, ma lungi da noi l’idea di sconfiggere un virus (solo) con un Paternoster, e non (anche) ascoltando la voce della scienza.

don Angelo Riva, direttore de Il Settimanale della Diocesi di Como