Di fronte alle crescenti tensioni in corso in Sud Sudan OVCI – LA NOSTRA FAMIGLIA E.T.S. – organizzazione con sede a Ponte Lambro ispirata al carisma del Beato Luigi Monza –  ha deciso di far rientrare il personale italiano operante nel centro di Usratuna a Juba, in Sud Sudan, a seguito del deterioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese.

Nelle ultime settimane, il Sud Sudan ha vissuto una crescente instabilità politica e militare, con scontri particolarmente intensi che hanno provocato un numero significativo di vittime e sfollati, spingendo migliaia di persone a cercare rifugio in zone più sicure. Negli ultimi giorni la violenza si è progressivamente estesa anche ad altre aree del Paese, avvicinandosi sempre di più alla capitale, Juba, dove si sono già registrati alcuni episodi di scontri a fuoco.

L’aggravarsi del conflitto ha portato diversi governi negli ultimi giorni a ridurre la propria presenza diplomatica e lo stesso sta avvenendo per le molte ONG operanti nel paese.

Al momento il centro di Usratuna è aperto e operativo, i collaboratori e le collaboratrici locali riescono a recarsi al centro pur con alcune attenzioni e si registra solo una lieve riduzione dell’accesso da parte dei pazienti.

LA TESTIMONIANZA DI SUOR ELENA BALATTI
Della situazione in Sud Sudan ci aveva parlato anche suor Elena Balatti, missionaria comboniana originaria della Valchiavenna e direttrice di Caritas Malakal (articolo a pagina 7 del numero 12).

La religiosa ci aveva invitato a guardare alla crisi politica partendo dalla pensate crisi economica che sta attraversando il Paese: «La guerra scoppiata nel vicino Sudan il 15 aprile 2023 ha avuto un impatto di vaste proporzioni sul Sud Sudan, con più di un milione di arrivi – racconta suor Elena -. Si tratta in gran parte di cittadini sud sudanesi che si erano spostati al nord a causa dei conflitti nel loro Paese e che per la seconda volta nella vita hanno dovuto fuggire dalla violenza. Oltre all’arrivo in massa di persone bisognose di tutto in una situazione economica già molto precaria, il Sud Sudan deve fronteggiare le conseguenze della chiusura dell’oleodotto principale per l’esportazione del petrolio che passa attraverso il Sudan e che si è bloccato per l’impossibilità di fare la manutenzione in una zona di guerra. Dal tempo dell’indipendenza il greggio, in gran parte esportato, è stato la risorsa principale del Paese. La forzata diminuzione della produzione ha innescato una grave crisi economica le cui ripercussioni vengono risentite un po’ da tutti, ma particolarmente dalle fasce più deboli della popolazione».

Un appello alla pace è stato lanciato anche dai vescovo del Sud Sudan in una lettera inviata al SIR: «Fin dall’inizio di questa nuova crisi, la Chiesa ha costantemente chiamato alla moderazione, al dialogo e all’impegno per il rispetto dell’Accordo Revitalizzato per la Risoluzione del Conflitto in Sud Sudan (R-arcss)», si legge nel messaggio. «Chiediamo ancora una volta al presidente Salva Kiir, a tutti i leader politici e alle parti dell’accordo, compreso il governo di transizione, di onorare i propri impegni nei confronti del popolo del Sud Sudan e resistere alla tentazione di tornare alle armi».