S’intitola “Figli di Caino”. Non è un film come tutti gli altri. Nessuna coda al botteghino, nessun lancio pubblicitario in grande stile. Per il momento solo il passaparola per diffonderlo e farlo conoscere. L’opera, di Carolina Merati, è la prima “fatica” cinematografica uscita dalla Casa Circondariale del Bassone di Como.

Non tanto un film estemporaneo sulla vita in carcere, quanto l’evoluzione di un percorso sul tema della genitorialità iniziato nel 2010, passato attraverso una mostra fotografica ed ora culminato in una pellicola attraverso la quale alcuni detenuti papà raccontano la loro vita dietro le sbarre.

figli-di-cainoUn modo semplice e diretto per rispondere, attraverso un linguaggio nuovo, ai tanti quesiti che i figli di alcuni detenuti ponevano loro sulla vita in carcere.

Non ambisce alle grandi sale, il film di Carolina Merati, ma girerà nelle scuole della provincia per regalare messaggi di speranza. Parte del ricavato dalla vendita del dvd sarà utilizzato per sostenere il percorso sulla genitorialità che la Casa Circondariale sta portando avanti.

Sette detenuti coinvolti, un’intera sezione a fare da scenario, altri detenuti e agenti di polizia penitenziaria nel ruolo di comparse, il supporto di educatori e psicologi. E una giovane regista a dirigere questa “orchestra”. Ecco gli ingredienti di “Figli di Caino”.

«La prima volta che sono entrata in carcere – spiega al Settimanale Carolina – avevo il timore che, per la mia inesperienza non fossi in grado di “riconsegnare” la realtà che mi si offriva per quella che realmente è. Temevo la comprensibile difficoltà che avrebbero potuto incontrare i detenuti, chiamati a raccontarsi dinanzi ad una telecamera. Mi sembrava quasi di entrare in una cristalleria, misurandomi con questioni di enorme delicatezza. Mi aspettavo dunque un muro, che invece non ho incontrato. Anzi, nel tempo si è verificato l’esatto contrario: ho trovato da parte dei detenuti collaborazione, ascolto, accoglienza. Mi auguro che questo viaggio non si concluda con la fine del film, ma che il carcere apra a nuove opportunità, perché lasciare qualcosa è ancora più positivo se questo qualcosa viene sviluppato e continuato».

Ed ora che il film è pronto arriverà il momento della sensibilizzazione: «L’obiettivo è di portarlo nelle scuole – conclude Carolina -, o presso altre realtà educative e sociali. Lo scopo è veicolare un messaggio: ciò che ci permette di superare le negatività di azioni compiute è guardare alla persona e non solo all’errore commesso. Errore che di certo resta e non va sminuito né giustificato. Quello che ho cercato di mostrare, però, è che dietro un errore c’è sempre qualcuno che ha la possibilità e la libertà di scegliere chi e che cosa essere. E proprio grazie all’esperienza che abbiamo fatto tanti dei detenuti che ho incontrato hanno mostrato il desiderio di voler cambiare».