“Lavoro di squadra”: questo il titolo del progetto che punta ad aprire un “varco” dentro il carcere del Bassone di Como. L’obiettivo è di sostenere la formazione professionale e la ricerca di un lavoro di persone detenute o a fine pena e nei 12 mesi successivi alla scarcerazione, perché possano ricostruirsi un percorso di vita, evitando il ritorno in situazioni di illegalità una volta tornati in libertà. “Braccia operative” del progetto saranno il Centro servizi per il volontariato “Insubria”, la Cooperativa Lotta contro l’emarginazione (che supporta giovani e adulti a rischio devianza o in condizione di marginalità), Mestieri Lombardia (la rete di Agenzie per il Lavoro accreditate dalla Regione, che opera nel reinserimento di persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria) e la Fondazione CFP Padri Somaschi Como Impresa Sociale (che opera per il reinserimento di minori sottoposti a condanna penale).
Oggi “Il Bassone” ospita 359 detenuti (318 uomini, 36 donne e 5 transessuali) su 240 posti regolamentari. I condannati in via definitiva sono 242 e tra i definitivi 83 hanno un fine pena entro i 14 mesi. Il 60% circa della popolazione detenuta è di nazionalità non italiana. L’emergenza sanitaria ha incrementato il ricorso a misure esterne al carcere, e all’interno sono rimaste soprattutto le persone più fragili e in situazione di marginalità sociale: prive di relazioni significative esterne, senza fissa dimora e stranieri senza famiglia sul territorio italiano. Qui, durante la lunga emergenza sanitaria, l’isolamento è stato ancora più assoluto ed alienante. La maggior parte dei detenuti ha un livello di scolarizzazione molto basso, circa il 61% è in possesso della sola licenza media (fonte Rapporto di valutazione del progetto Com&CO, 2020). Solo il 31% dei carcerati italiani ha un diploma d’istruzione superiore, contro il 49% delle carceri straniere. In entrambi i casi, tuttavia, il curriculum occupazionale è limitato. Il 94% dei reclusi ha avuto esperienze lavorative precedenti, ma nella maggior parte dei casi di bassa qualità, con contratti saltuari o inesistenti. Solo una percentuale limitata (21%) ha un lavoro al momento dell’incarcerazione, oltre la metà (61%) è in cerca di occupazione.
Il progetto si articolerà su più fronti. Da corsi personalizzati di formazione “intramuraria” (informatica, termoidraulica, aiuto cuoco, cameriere) a percorsi di accompagnamento al mondo del lavoro una volta terminata la pena detentiva. Prevista anche la riqualificazione degli spazi di aggregazione e socializzazione interni al carcere, fra cui un campo di calcio a 5 e la realizzazione di un “percorso vita” per permettere ai detenuti di svolgere attività fisica».
Saranno coinvolte tra i 60 e gli 80 detenuti. Le prime azioni dovrebbero i primi giorni di marzo, per concludersi a fine marzo 2023.
Lavoro di squadra è reso possibile grazie al supporto di Intesa Sanpaolo, all’esperienza di Fondazione Cesvi e alle donazioni di quanti hanno contribuito al crowdfunding del progetto che ha portato a raccogliere la somma di 150.241 euro.
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