Nel mondo sono almeno 21 milioni le persone vittime di tratta, per il 70% sono donne e bambini (gli adolescenti rappresentano il 20% di tutti i casi conosciuti di traffico di esseri umani). “Tratta” significa persone trafficate e sfruttate, prevalentemente per sesso e lavoro servile: ogni due minuti, nel mondo, c’è un bambino che viene sfruttato sessualmente. Ma sfruttamento significa anche servitù domestica, accattonaggio, matrimoni forzati, adozioni illegali, espianto di organi… È un giro d’affari che vale 32 miliardi di dollari l’anno e che in Europa vale più del traffico di droga o d’armi. Solo in Italia sono 50-70mila le donne vittime della tratta, circa la metà giovani nigeriane: ogni mese, nel nostro Paese, da loro si acquistano 9-10 milioni di prestazioni sessuali. Lo sfruttamento del lavoro riguarda invece 150mila persone: lavoro schiavo, non semplicemente lavoro nero, con sottrazione di documenti, salario di poche decine di euro per 12 ore di lavoro, condizioni abitative disumane, fornitura di beni di prima necessità obbligatoria e a caro prezzo. Basta un dato per capire quanto la tratta ci riguardi: le donne nigeriane sbarcate in Italia nel 2016 sono state 11mila: erano la metà (5.600) l’anno prima.

Nella trappola dello sfruttamento, incapace di rendersi conto di come sia potuto succedere, c’è caduta anche Blessing Okoeidon, 30 anni, una laurea in informatica, arrivata in Italia nel 2013. Martedì 9 maggio Blessing racconterà la sua storia a Como: al mattino incontrando i giovani che frequentano le Superiori presso l’Istituto Canossiano e in serata, alle ore 20.45, presso l’Opera don Guanella di via Tommaso Grossi. Al suo fianco la giornalista Anna Pozzi, che insieme a lei ha scritto il libro “Il coraggio della libertà”, che sarà presentato proprio il 9 maggio.

La serata è proposta nel contesto di tre incontri sul tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che cade il 28 maggio e che riguarda la speranza. Il testo, con prefazione della scrittrice Dacia Maraini e postfazione di Rita Giarretta (religiosa alla guida di “Casa Rut”, struttura che in provincia di Caserta accoglie le ragazze che riescono a sottrarsi dallo sfruttamento), è la narrazione dell’inganno subito da Blessing, della facilità con la quale si cade nella rete, della difficoltà a uscire dal vortice della tratta, non solo per la crudeltà degli aguzzini, ma anche perché «ci si abitua». Ecco, Blessing non è si rassegnata a essere considerata un oggetto. Il titolo scelto per un libro che si fa leggere tutto d’un fiato esprime «il coraggio che ho avuto per tornare a essere una donna libera – ci spiega lei stessa –. Non avevo nessuno a cui rivolgermi, cercavo disperatamente una via d’uscita. Mi sentivo morta perché ero morta dentro, calpestata nella mia dignità. Tutto questo mi ha dato la forza per andare alla Polizia e denunciare quanto mi stava succedendo». Blessing oggi è mediatrice culturale e collabora con le cooperative che nel casertano si occupano di accoglienza e assistenza ai migranti. In Nigeria, sostenuta dai sacrifici della sua famiglia, ha studiato e aveva un’attività in ambito informatico. Una donna, «molto religiosa – come si racconta nel libro – mi ha detto che suo fratello, in Europa, poteva offrirmi un lavoro proprio nel settore dei computer». Blessing accetta la sfida, sebbene non avesse particolare interesse a emigrare: arriva in aereo, con un regolare visto per motivi di lavoro. La sua meta era la Spagna – «non l’Italia, perché chi va in Italia si sa che non va a fare un bel lavoro…». E invece, inganno dopo inganno, finisce in Campania, nelle mani di una maman e del suo compagno, trafficata per un controvalore di oltre 60mila euro: un debito che avrebbe dovuto saldare prostituendosi.

«Si deve sensibilizzare, soprattutto nelle aree rurali della Nigeria – ci dice ancora Blessing, con tono accorato –. Il nostro Paese è molto corrotto e si da grandissima importanza ai soldi. Nelle città, oggi, si comprende di più che andare in Europa può significare diventare vittime della tratta. Ma nei villaggi, dove non c’è istruzione, le ragazze non parlano nemmeno il “nostro” inglese dialettale, le famiglie sono fragili e il tessuto economico è inesistente, è normale “affidare” la propria figlia in cambio di 50 euro…». Cosa si può fare? «Stiamo cercando di far capire, soprattutto alle giovani generazioni, che la dignità, anche nella povertà, non può essere barattata. Prostituzione, accattonaggio, sfruttamento non sono un destino al quale arrendersi. Certo – osserva ancora Blessing – sarebbe utile anche punire con maggiore severità i clienti: ogni qualvolta si paga per una prestazione sessuale è come acquistare un pezzo della persona che si ha davanti e che viene mortificata nella sua umanità. Colpire la domanda permetterebbe di ridurre l’offerta».

Cosa ne pensi dei grandi fenomeni migratori dall’Africa verso l’Europa? «L’immigrazione è sempre esistita – ci risponde – ma sta diventando un problema, anche per il futuro degli stessi Stati africani, perché stanno sparendo le generazioni che rappresentano il futuro dei nostri Paesi e poi vanno via… ma non per migliorarsi! Certo, magari qualcuno riesce anche a mandare dei soldi a casa, ma quei soldi derivano dallo sfruttamento. Così non va bene: si lasciano il potere, la politica, le risorse naturali in mano alla corruzione». E l’estremismo religioso? «Preferirei non parlare di Boko Haram – ci dice –, perché dicono di essere islamici ma uccidono tutti, anche quelli della loro religione… La questione vera è che non si sa chi sia Boko Haram… è certo, però, che ci sono molti interessi economici, a partire dal controllo delle materie prime». Quanto ti ha aiutato la tua fede nel tuo cammino di riscatto? «Sono cresciuta in una famiglia molto religiosa, nel solco della Parola di Dio. Sono stata tradita da persone che si dicevano credenti e ho perso la fiducia negli uomini, ma non in Dio. Mi ha dato il coraggio per liberarmi e per aiutare, ora, gli altri. Dio c’è e ci risponde se lo chiamiamo». Un grande messaggio di fede: non potrebbe essere altrimenti per Blessing la quale, nel suo nome, ha la radice del verbo “to bless”, che in inglese significa “benedire”.