Ieri, lunedì 1 gennaio, solennità di Maria Santissima, Madre di Dio, si è celebrata la Giornata Mondiale della Pace. Il vescovo Oscar, nel solenne pontificale in Cattedrale, ha affidato alla protezione di Maria Santissima la città e la diocesi di Como.

«L’augurio: “Ti benedica il Signore e ti custodisca” – ha sottolineato monsignor Cantoni nell’omelia, riprendendo un passaggio della Prima Lettura – non esprime solo un pio desiderio, ma dà luogo a una nuova creazione, i cui effetti si propagano di giorno in giorno e ci accompagneranno lungo il corso del nuovo anno. Perciò ci sentiamo consolati, perché tutti avvolti dalla grazia del Signore, ossia dalla certezza del suo amore provvidente, che guida i nostri passi sulla via della pace, a partire, da questa giornata mondiale della pace, che tradizionalmente si celebra il primo gennaio. La pace è il bene che tutti auspichiamo: una aspirazione profonda di tutte le persone e i popoli. Pace, allora, per noi stessi, per le nostre famiglie, per le comunità, cristiane e civili, pace per tutti i membri della famiglia umana. Pace per migranti e rifugiati, che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale. Facendo parte di una sola famiglia, in quanto figli e figlie di Dio, anch’essi hanno diritto di sperimentare la pace. Essa è sì dono di Dio, ma è anche frutto delle nostre mani, come ci ricorda Papa Francesco nel suo messaggio per la giornata di oggi, che ha per titolo: “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”… Essere considerati tutti figli di Dio è la condizione onorevole e prestigiosa, frutto della redenzione, operata da Gesù Cristo. Non siamo solo creature di Dio, ma figli! Da qui il nostro compito di servire la vita di tutti, ogni vita, da quella nascente a quella anziana, sofferente e malata, a quella scomoda e persino ripugnante, dal momento che Dio stesso si prende cura di ognuno di noi singolarmente, come se fossimo i soli al mondo; cura tutti, come se fossimo unici. Le conseguenze che ne derivano, determinano i nostri rapporti interpersonali. Proprio perché figli di Dio, per noi non esiste più la parola “straniero”! Se agissimo a partire da questa convinzione cambierebbero molti modi di interpretare i fatti e di andare incontro alle persone!».

Sempre in tema di Giornata della Pace, la sera del 31 dicembre, il vicariato di Como Centro ha vissuto una Veglia di preghiera per la Pace, presso la basilica di San Fedele. Riportiamo un ampio stralcio dall’intervento del direttore Caritas, Roberto Bernasconi, che ha declinato nel vissuto diocesano i verbi di azione declinati da Papa Francesco nel suo Messaggio.

«Con il messaggio per la giornata mondiale della pace, papa Francesco esprime in modo netto questo bisogno di pace che però può realizzarsi solo se noi con le nostre scelte di vita diventiamo strumenti di pace.
Lui ci aiuta indicandoci alcuni verbi che sta a noi riempire di contenuti.
ACCOGLIERE. Che cosa è l’accoglienza nella nostra città? Innanzitutto è conoscenza vera di chi è arrivato tra di noi e di chi da sempre tra di noi vive la strada o la povertà estrema, 1300 sono i migranti, 250/300 sono le persone senza fissa dimora, 450 sono le famiglie che hanno bisogno del nostro centro di ascolto, la domanda che ci dobbiamo porre è la nostra è accoglienza o ospitalità, chi è accolto entra a far parte a pieno titolo della mostra città e può esprimere quello che sono le sue esperienze di vita le sue fatiche ma soprattutto le sue difficoltà le sue povertà perché possano diventare esperienze comuni, chi è ospite è aiutato, è tollerato e diventa semplicemente strumento in nostre mani per esercitare il nostro desiderio di filantropia.
PROTEGGERE. In che modo mettiamo in atto la protezione di questi fratelli e sorelle che arrivano da noi o che stanno nella nostra città da sempre e che sono alla berlina di chi vuole sfruttare la loro condizione per arricchirsi?
Sto pensando in questo momento ai passatori, agli spacciatori” a chi induce le ragazze e i minori alla prostituzione, achi propone loro lavoro in nero, a chi li illude che trovando strade alternative alla legalità possono raggiungere i loro sogni: questi sfruttamenti sono presenti in modo concreto nella nostra città. Liberare dalla schiavitù le persone che cadono preda di questi operatori di guerra è compito nostro:  noi dobbiamo aiutare chi rimane invischiato in questi percorsi di male ad uscirne e possiamo farlo se abbiamo il coraggio di denunciare chi delinque, ma soprattutto se in modo netto indichiamo e percorriamo noi per prima la strada della legalità, che è stretta e difficile da percorre ma è l’unica che ti dà una possibilità vera di futuro.
PROMUOVERE. Chi vive nella nostra città una condizione di marginalità arriva a questa condizione anche a causa di alcune carenze culturali e sociali che li portano a vivere ai margini a sentirsi inadeguati a considerarsi cittadini di serie “B”. Promuovere vuol dire mettere a disposizione possibilità di istruzione: le varie scuole di italiano aiutano almeno 500 persone a conoscere la nostra lingua, oramai più di 300persone hanno imparato un mestiere attraverso corsi professionali. Promuovere per la nostra città vuol dire mettere a frutto le capacità di tante persone che, attraverso la mediazione culturale aiutano a comprenderci, vuol dire anche dar spazio e possibilità di esprimersi a chi attraverso lo spirito di intraprendenza vuole impegnarsi in mestieri o professioni che spesso i nostri giovani scartano perché ritengono faticose o poco dignitose.
INTEGRARE. Questo verbo per noi è ambivalente. Integrare per una parte della nostra città vuol dire che questi nostri fratelli devono adeguarsi ai nostri usi sia sociali che religiosi; per l’altra parte vuol dire spingere questi fratelli a far proprie le battaglie sociali e politiche che non sono loro. L’arricchimento reciproco di cui parla il papa, per poter attuare un’integrazione vera, deve allora metterci in atteggiamento di ascolto, le nostre comunità cristiane devono superare la paura del diverso, del nuovo… pensate a quante persone che arrivano da noi e, pur essendo cristiane, non possono soddisfare la loro esigenza di vivere la fede in una comunità e non solo in modo personale… questo fa paura a noi che la vita la viviamo in compartimenti stagni, di solito fede e parte spirituale per noi non hanno nulla da vedere con il resto della nostra vita. Se avessimo il coraggio di un’accoglienza vera, aiuteremmo la città a non avere paura di chi chiamiamo diverso, riusciremmo ad instaurare un dialogo sincero e produttivo anche con chi pratica una fede diversa dalla nostra, e riusciremmo a capire che l’interazione può esserci nella misura in cui il sentimento di fiducia diventa prioritario all’interno della nostra Chiesa e della nostra città, fiducia soprattutto nei fratelli e nelle sorelle che vivono con noi e che sono a tutti gli effetti anche se diversi di pelle o di cultura figli di Dio.