La quarta domenica di Pasqua è un appuntamento “classico” e, soprattutto, un’occasione preziosa di confronto con la figura del Buon Pastore. Essa è posta in risalto tramite il contrasto che si viene a creare con la persona del mercenario, lo straniero che, nel pericolo, se la svigna, «perché non gli importa delle pecore» (Gv 11, 13b). La differenza sta nella cura: il pastore è preoccupato della vita delle pecore, offre la sua vita per loro; al mercenario, invece, interessa solo di salvare se stesso. È l’atteggiamento di Dio, evocato dal Salmo 22 e dal profeta Ezechiele (cfr. Ez 34, 11-17) e che Gesù sente particolarmente suo: «Io sono il Buon Pastore» (Gv 10, 14a). Non si tratta semplicemente di un’autorivelazione, bensì di una promessa che Gesù mantiene fedelmente in tutto il breve corso del suo ministero pubblico, ma che, sigillata dagli avvenimenti pasquali, è destinata a durare per tutta l’eternità, attraverso l’opera della Chiesa e dei suoi Pastori che Egli non abbandona e per i quali, oggi, siamo chiamati a pregare in modo speciale, così come per ogni tipo di vocazione alla vita consacrata, religiosa e missionaria. Il motivo per cui Gesù è il Pastore non solo buono, ma anche bello, nel senso di perfetto, è la conoscenza reciproca tra lui e le pecore, a immagine e somiglianza di quella tra lui e il Padre: «conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre» (Gv 10, 14b – 15a). Non si tratta di una conoscenza superficiale, “usa e getta”, come, purtroppo, capita spesso tra gli uomini, ma è un rapporto profondo, impegnativo, sacro, non privo di conseguenze: «e do la mia vita per le pecore» (Gv 10, 15b). I giorni della Passione ci hanno fatto rivivere l’esperienza di questo dono; il Tempo Pasquale ci apre una strada nuova per farci comprendere che il dono di Gesù non termina con la sua morte, ma si perpetua con la sua risurrezione: «Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10, 18b). Continuiamo noi pure a risorgere impegnandoci nella relazione con Lui e nel dono di noi stessi.

don MICHELE PAROLINI