Pubblichiamo di seguito una riflessione del parroco di Laglio, don Maurizio Uda, che commenta la decisione di intitolare a due giovani della comunità la nuova Casa Famiglia aperta nell’ex canonica dalla Fondazione Somaschi.
A pochi passi dalla villa di Clooney nasce una Casa famiglia per minori
La casa famiglia che ha sede nella casa parrocchiale di Laglio ha un nome: La casa di Anni e di Ema. L’idea di dedicare questa realtà ad Annalisa Ciardo e a Emanuele Fazio è nata da una certezza. Annalisa è morta il 20 novembre 2016 a causa di un tumore con il quale ha convissuto, è cresciuta e ha lottato per tanti anni. Aveva 27 anni. Emanuele è morto la mattina del 26 giugno 2016 a 20 anni nel fiore della vita promettente: nel cuore aveva un vortice di progetti che stava realizzando con grande passione. La cronaca racconta che entrambi hanno perso la loro vita.
In realtà per come la stavano vivendo, entrambi, in modi diversi, la stavano donando a piene mani. Nel vangelo leggiamo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.Quando Gesù disse questa frase aveva sotto lo sguardo da una parte la sua vita di ogni giorno e dall’altra la sua morte. La morte in base all’apparenza del nostro sguardo nega la vita. Vita e morte non possono stare insieme.
Nessuno riesce istintivamente a legare insieme sotto la stessa realtà vita e morte. Lo sguardo di Gesù sorprendentemente sì. Gesù osserva la sua morte e la descrive come un donare la vita: sulla croce non solo Gesù muore, ma, dice il Vangelo, dona la sua vita. La sua morte, il modo con il quale Gesù paradossalmente vive la sua morte è identico al modo con il quale ha vissuto la sua vita di tutti giorni: ne ha fatto un dono.
E’ l’amore più grande. La vita e la morte vissuti in questo modo diventano feconde. Anni ed Ema, raccontano la cronache, sono morti, ma non è vero. Con la fortunata complicità della loro giovinezza (coloro che li hanno conosciuti possono testimoniarlo) hanno raccontato questa verità evangelica: se fai della tua vita un dono non solo ami nel modo più grande, ma apri una finestra direttamente verso il Cielo.
Dedicare quindi un luogo come una casa famiglia a due giovani che sono morti (e lo ripetiamo, solo apparentemente) ha questo significato: non solo custodirne la memoria e il ricordo, ma per chi vi lavora, richiama il senso e la direzione del proprio lavoro educativo: “Dare la vita per i propri amici”. Una casa famiglia non solo accoglie dei minori in difficoltà (i quali non sono altro che lo specchio delle nostre stesse difficoltà), ma accoglie in queste fatiche tante piccole storie di “morte”. Gesù parlando della morte dell’amico Lazzaro dice: “Il nostro amico Lazzaro si è addormentato: io vado a svegliarlo”. Egli in buona sostanza dice: la morte è l’uomo che si è addormenta. La morte cessa di essere quando si compie il miracolo del “risveglio”. Come nel racconto del ragazzino morto del villaggio di Nain, figlio unico di madre vedova. Gesù commosso dice:”Giovinetto, dico a te, alzati”, e il giovinetto si alzò e si mise a parlare. Le immagini evangeliche del ritorno alla vita sono semplici e potenti: recuperare la capacità di “stare in piedi” e di entrare nuovamente in relazione (parlare).
Don Maurizio Uda
parroco di Laglio, Briennio, Carate e Urio