Alla vigilia della partenza per la missione diocesana in Perù, prevista per il 16 agosto, abbiamo rivolto a monsignor Cantoni alcune domande. Il ritorno del vescovo in diocesi di Como è previsto per il 29 agosto, alla vigilia della solennità del patrono S. Abbondio.

Si tratta del suo primo viaggio in Perù, in visita ai “fidei donum” a Carabayllo: con quale spirito e con quali aspettative affronta questa partenza?
«Sto per affrontare il mio primo viaggio missionario a nome della diocesi di Como. Lo inizio con grande interesse, nella certezza che mi infonderà una nuova vitalità missionaria, che mi auguro sappia trasmettere ai sacerdoti e ai laici della nostra diocesi. Nel mio servizio episcopale precedente mi è stata offerta l’occasione di visitare alcuni missionari cremaschi in Guatemala e in Brasile: entrambe si sono rivelate occasioni feconde di grazia e di nuove aperture.  Ora, riguardo al Perù, non conosco, se non vagamente, la situazione di quella Chiesa. Tuttavia, il mio primo intento è quello di dare un segno di vicinanza, di affetto e di gratitudine ai nostri tre missionari che operano nella diocesi di Carabayllo. Essi ci rappresentano, perché sono stati inviati negli scorsi anni dalla nostra Diocesi, non sono partiti di loro libera iniziativa. Pertanto abbiamo il dovere di interessarci di loro, della loro esperienza umana ed ecclesiale e di valutare insieme il valore e il significato dell’impegno pastorale che è stato loro affidato».

I nostri tre sacerdoti la accoglieranno con affetto…
«Don Savio, don Roberto e don Ivan sono inseriti pienamente nella Chiesa locale di Carabayllo e, al tempo stesso, mantengono con il vescovo della propria diocesi un rapporto costante, non solo di comunione spirituale, ma anche operativa. Questa è la condizione essenziale perché un missionario “fidei donum” possa operare pastoralmente, senza sentirsi un “battitore libero”. Mi preparo, quindi, a conoscere la Chiesa di Carabayllo con la sua storia di santità, con metodi pastorali diversi probabilmente dai nostri, ma che possono essere una felice occasione di confronto e di arricchimento. Il contatto con una Chiesa latino americana mi offrirà l’opportunità di verificare il suo progetto missionario, le sue priorità, quello stile nuovo di essere Chiesa – di cui Papa Francesco è testimone e annunciatore – che spinge ad andare verso le persone, le famiglie, le comunità e i popoli, per comunicare e condividere con tutti il dono dell’incontro con Cristo».

Il Vescovo Oscar Cantoni dal 16 al 29 agosto in visita alla missione diocesana in Perù

Perché, ancora oggi, è importante la missione “ad gentes”?
«La missione “ad gentes” ci obbliga a uscire fuori dai nostri soliti schemi, dai nostri metodi di evangelizzazione, ci costringe ad andare oltre il nostro territorio, per scoprire la presenza del Signore, espressa anche in modi inediti, da altri popoli e da altre culture. Ci spinge a superare la frequente stanchezza e abitudinarietà del credere, sperare e amare, riscoprendo, noi stessi per primi, la fede che allieta il nostro cuore. La missione “ad gentes” aiuta innanzitutto noi stessi a conoscere meglio Gesù, che è il regalo più bello che qualunque persona possa ricevere e, di conseguenza, ci stimola a scoprire in quale modo far conoscere Gesù, con la nostra parola e le nostre opere: un impegno che come frutto diventa la nostra gioia più grande. Credo che per un discepolo di Gesù il miglior antidoto per superare il pericolo dell’accidia e del pessimismo, di cui parla Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”, sia essere inviato nelle diverse periferie esistenziali, quindi anche nelle missioni “ad gentes”, in cui inserirsi con umiltà, discrezione e misericordia, sapendo che nel mondo ci sono tanti “feriti” (di ogni tipo…), che hanno bisogno di comprensione, di perdono e di amore».

Che cosa chiede, alla diocesi, per accompagnare il suo viaggio e l’opera dei nostri “fidei donum” in Perù?
«Sono certo che il mio viaggio apostolico in terra di missione sarà accompagnato e sostenuto dalla costante preghiera di tutto il popolo di Dio. Vorrei augurarmi che la visita alla nostra missione in Perù stimoli tutti noi, sacerdoti e laici, a un più maturo e convinto impegno missionario. Si tratta di uscire fuori dai nostri recinti, per andare incontro alle persone, alle famiglie, alle comunità, promuovendo la cultura dell’incontro con Cristo nei diversi ambienti di vita. Dobbiamo imparare uno slancio nuovo verso coloro che si sentono lontani, abbandonati dalla cura pastorale ordinaria, prendere a cuore la loro situazione per riappacificarli con la Chiesa e aiutarli a sperimentare la misericordia del Padre. La pastorale missionaria dovrebbe spingere i battezzati della nostra Chiesa ad andare verso i più emarginati, per riflettere l’amore di Cristo che attrae tutti a sé. Mi auguro che la passione missionaria sia uno stimolo forte, per dare inizio alla seconda parte del progetto previsto dal nostro Sinodo diocesano, che ci impegna in un coinvolgimento globale, come comunità e come singoli».