Una celebrazione segnata da sincera commozione quella del mattino del 24 dicembre, presso la Casa Circondariale del Bassone di Como.
La commozione del Vescovo Oscar, che ha ricordato come la sua presenza, nei giorni di Natale, nei luoghi segnati da sofferenza e fragilità sia espressione «della pace che Dio, con la sua nascita in mezzo a noi, è venuto a portarci». La commozione dei detenuti, che hanno continuato a ripetere la loro gratitudine a monsignor Cantoni. La commozione di operatori e volontari, del personale di polizia penitenziaria, della direttrice Chiara Santambrogio, la quale ha annunciato – confermando voci che si rincorrevano da tempo – che «questo è il mio ultimo Natale qui. Con il nuovo anno sarò destinata a nuovo incarico. Vorrei ringraziare e salutare tutti, a partire dalle autorità qui presenti: avete sempre testimoniato attenzione alla difficile realtà del carcere. Pur standone ai margini, è comunque parte integrante della città e del territorio. Oggi, in questa celebrazione che condividiamo, nel rispetto dei ruoli di ciascuno, vogliamo mettere al centro le persone».
Cigolano pesantemente i cardini dei portoni blindati mentre lasciano entrare quelli “fuori”. Nel salone polifunzionale, con il palco trasformato in altare, i detenuti e le detenute attendono numerosi. Più del solito. Si scorgono i volti di alcuni protagonisti di fatti di cronaca. Ci sono molti giovani. Attualmente al Bassone sono presenti 440 carcerati. Essendo casa circondariale il ricambio è continuo. Proprio domenica sono arrivati una decina di detenuti trasferiti da San Vittore. I detenuti sono lì per reati secondari, anche se non mancano alcuni “fine pena mai” e le condanne fra i 20 e i 30 anni.
«Siamo tutti cercati e attesi – ha detto il Vescovo Oscar nell’omelia -: nessuno è uno scarto. Dio ci dice di non scoraggiarci. Ci prende per mano e ci rimette in carreggiata. Il cammino è ripido e faticoso, si sente il peso della solitudine e dell’errore, ma Gesù che si incarna viene a ricordarci che non siamo soli. Il dono di Dio non è per nostro merito, ma per “grazia”, parola che ha in sé il senso della gratuità. Egli ci ama nonostante i nostri peccati. E ricordiamoci che per nascere e manifestarsi al mondo, Dio non ha scelto le ricchezze e i palazzi reali, ma è partito dai poveri, dai più umili, dagli impuri. Da qui è partita la più grande delle rivoluzioni, per restituire dignità e libertà interiore a tutta l’umanità. Per questo vi auguro che sia un buon Natale, una benedizione che si estende alle vostre famiglie e a coloro ai quali volete bene». Al termine della Messa il Vescovo Oscar, al quale le sezioni maschile e femminile del carcere hanno portato in dono alcuni manufatti realizzati nei vari laboratori, ha salutato, uno a uno, tutti i detenuti presenti alla celebrazione e ha portato la propria benedizione in un’ala della casa circondariale riservata ai più fragili.
Com’è il Natale in carcere? Lo abbiamo chiesto al cappellano padre Michele Rocco. «Il Natale lo celebriamo oggi, anche se è la Vigilia. Domani qualcuno potrà uscire grazie al permesso, molti altri riceveranno la visita di familiari, amici, parenti. Le persone qui sono tutte consapevoli dei propri errori, di aver sbagliato e quindi di essere in carcere perché hanno fatto quello che non avrebbero dovuto fare… Il tempo della festa, però, rende tutto oggettivamente più difficile. Anche se, devo dire, mi è capitato di trovare più “disperazione” e superficialità fuori di qua, poca consapevolezza del senso del Natale. In queste settimane, aiutati da volontari e catechisti, abbiamo riflettuto con Giovanni Battista, che viene ad annunciare Gesù nel deserto dell’animo umano… E hanno capito l’importanza di rianimare il cuore». Padre Michele ci racconta che molti detenuti con maggiori possibilità economiche, hanno acquistato beni per i più poveri fra i carcerati. Infine un pensiero per il personale di polizia penitenziaria. «Sono i nostri angeli custodi – conclude il cappellano – non solo per il lavoro di controllo e tutela, ma perché sanno essere umanamente attenti alle persone, ai loro bisogni, ai momenti in cui la disperazione prende il sopravvento».