La prima sera dopo aver messo piede a Mosul, nella capitale dello Stato Islamico o Daesh, come viene comunemente chiamato a quelle latitudini, Lisa ricorda di essere stata male. Troppo forti le immagini che ritornavano nella sua mente: 35 chilometri di check point e scheletri di edifici, segni di combattimenti e polvere. E’ stato il suo battesimo della guerra.
Lei giovane ostetrica comasca, trentaquattrenne, era partita per la prima esperienza con Medici Senza Frontiere per trascorrere un periodo di quattro mesi in quella che, dal giugno 2014 al luglio 2017, è stata la capitale del “Califfato”.
“Quella sera siamo rientrati a Telkaif, la cittadina dove condividevamo una casa con tutti gli operatori di Msf e ricordo di essere andata subito in camera a stendermi. Non mi sentivo bene; nei miei occhi l’immagine della distruzione vista lungo tutto il tragitto. Mi chiedevo come si facesse a vivere in quella condizione, come facesse la gente a trovare la forza di andare avanti. Persone che vivono al piano terra di edifici praticamente distrutti. Ed è stato ancora più incredibile rendersi conto di come, quel paesaggio, in pochi mesi possa finire per diventare “normale”, quasi a non stupire più”.
Quattro mesi per l’esattezza quelli passati da Lisa Borghi tra lo staff dell’Ospedale materno infantile “Nablus” aperto dalla sezione svizzera di MSF il 22 giugno 2017, un mese prima della liberazione definitiva della città.
La testimonianza di Lisa Borghi è pubblicata sul Settimanale in distribuzione questa settimana. Per chi volesse sentire la sua testimonianza dal vivo vi segnaliamo l’incontro che si terrà all’oratorio di Menaggio venerdì 1 febbraio.