Il “Dormitorio annuale Città di Como” compie 10 anni. La struttura comunale, gestita dalla Fondazione Caritas Solidarietà e Servizio onlus e operativa in via Napoleona 34 dal 1° novembre 2010 nella sede storica dell’Ozanam, è il centro di accoglienza pubblico per le persone senza dimora che vivono nel capoluogo.

Complessivamente dal 2011 al 2020 (ultimo dato di ottobre), gli italiani che hanno usufruito del servizio sono stati 522, mentre gli stranieri 1.518, per un totale di 2.040 persone.

Il dormitorio può ospitare 56 persone (di cui 7 donne) in 18 stanze condivise. La sua mission è fornire una prima risposta a queste persone per permettere loro di dimorare – per un periodo limitato nel tempo (i turni sono mensili) – in un luogo organizzato, stabile e tranquillo durante le ore notturne (dalle 20 alle 8 del giorno successivo). A questa struttura è possibile accedere attraverso un colloquio preliminare gestito dagli operatori di “Porta Aperta”, il servizio cittadino per la grave marginalità che ha sede in viale Varese.

Per tracciare un bilancio del dormitorio, abbiamo incontrato Giovanni Corbella, il responsabile Caritas di questo servizio, praticamente presente sin dalla sua istituzione.

Giovanni, in questi 10 anni il dormitorio di via Napoleona è diventato un punto di riferimento indispensabile per la città…
«È la prima esperienza di dormitorio comunale aperto tutto l’anno. In precedenza altre strutture erano operative, ma avevano carattere stagionale. Il primo anno c’è stata una notevole contrazione nel periodo estivo, ma già dal 2012, con 227 presenze complessive, è risultato pieno anche nei mesi caldi… segno che il servizio si è prontamente radicato sul territorio, offrendo anche piccole opportunità importanti, come la doccia quotidiana».

Nel tempo è aumentata la conoscenza reciproca con gli ospiti e si sono ridotte anche le conflittualità…
«Certamente. Inoltre, con il passare degli anni, ci siamo resi conto che la sola accoglienza non era sufficiente. Così, dal 2017, al responsabile è stata affiancata Ivana, l’operatrice della Caritas che si occupa dell’accompagnamento in percorsi individualizzati degli utenti».

Dal 2010 a oggi quanti e come sono cambiati gli utenti, quale la loro età e la loro provenienza…
«Alcuni numeri ci possono aiutare. Complessivamente dal 2011 al 2020 (ultimo dato di settembre), gli italiani che hanno usufruito del servizio sono stati 522, mentre gli stranieri 1.518, per un totale di 2.040 persone. Di queste, 1.743 gli uomini e 297 le donne. Per quanto riguarda la provenienza, la percentuale di italiani nel corso degli anni oscilla tra il 20% e il 30%, con una media di circa il 26%. Nei primi anni la nazionalità maggiormente presente era quella tunisina, dal 2014 il primato è passato (purtroppo) all’Italia. Altra comunità molto presente nei primi anni era quella rumena che attualmente si è ridotta a poche presenze. C’è stata un’impennata di pakistani dal 2013 al 2015, sorpassati negli anni seguenti da Somalia e Nigeria. L’ultimo dato del 2020 (sempre registrato a settembre) indica 5 nazionalità particolarmente significative: 35 italiani, 19 tunisini, 17 somali, 12 nigeriani e 10 pakistani».

Quali sono le fasce d’età in percentuale?
«Nel 2020 (settembre compreso) abbiamo registrato quella tra i 18-30 anni (32,7%), poi tra i 51-60 anni (29,4%); poi, a seguire, tra i 31-40 anni (16,3%), tra i 41-50 (13,7%) e, infine, le persone sopra i 60 anni (7,8%)».

Complessivamente dal 2011 al 2020 (ultimo dato di ottobre), gli italiani che hanno usufruito del servizio sono stati 522, mentre gli stranieri 1.518, per un totale di 2.040 persone. Di queste, 1.743 uomini e 297 donne. Sempre in base ai rilevamenti del 2020 (fino a settembre), 5 nazionalità hanno fatto registrare il maggior numero di presenze nell’anno: Italia 35, Tunisia 19, Somalia 17, Nigeria 12 e Pakistan 10.

L’emergenza Covid del marzo scorso, e quella che si ripresenta oggi, come hanno cambiato il servizio e soprattutto i rapporti con gli utenti?
«Inizialmente non è stato facile fare accettare le restrizioni di movimento e le nuove norme sanitarie, di sicurezza e di comportamento. Tra gli utenti, soprattutto nelle prime settimane di pandemia, c’era anche qualche “negazionista” difficile da convincere a rispettare le regole. Con il passare del tempo, essendo gli ospiti stabili e vedendo anche l’evoluzione della pandemia, le cose si sono ovviamente semplificate. Anche la preparazione delle colazioni e la distribuzione dei pasti, pur nella complessità organizzativa, hanno contribuito a normalizzare i comportamenti. Un grande lavoro in questi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, è stato fatto dai volontari. In questi dieci anni abbiamo calcolato che oltre 160 persone hanno prestato il loro servizio in via Napoleona (in questo ultimo anno sono stai circa 80). Tuttavia abbiamo sempre bisogno di nuove forze, soprattutto di giovani».

Quale sarà il futuro del dormitorio, pensando anche alla sinergia con i Padri Comboniani di Rebbio e con gli altri servizi sul territorio?
«Il dormitorio notturno annuale nasce come servizio di bassa soglia, finalizzato a fornire una prima risposta alla mancanza di dimora. L’importante è evitare che per gli ospiti diventi una soluzione definitiva. Bisogna quindi dare alle persone, con cui si riesce a creare un progetto di inserimento sociale e lavorativo, la possibilità di usufruire di una diversa accoglienza, come un dormitorio di secondo livello da affiancare a quello attuale dei Padri Comboniani o in una soluzione di housing first (esperienza già avviata da Caritas da alcuni anni), ovvero la possibilità di dare alle persone senza dimora, come priorità, una casa e da lì partire per un percorso di reinserimento sociale».

Questa intervista è tratta dalla pagina Caritas pubblicata su il Settimanale della Diocesi di Como in uscita questa settimana