Diffondiamo l’appello delle Acli di Como, sul tema della campagna vaccinale contro il Covid.

Le Acli di Como, attraverso questo comunicato, esprimono il proprio parere su questo delicato tema. Non certo per entrare nel merito della validità medica e farmaceutica, ma ancora una volta per dichiarare che la nostra mission è quella di stare accanto ai cittadini ed essere di supporto nella creazione e nel mantenimento di una comunità più coesa e giusta.

Tutti noi sappiamo che le conseguenze del covid-19 non sono unicamente mediche, ma anche sociali.

Riteniamo che il vaccino non si possa intendere in modo univoco come soluzione medica a questa pandemia, ma che sia anche parte di una sorta di “vaccino sociale”, che consentirà un ritorno alla nostra vita lavorativa, relazionale e ravvicinata, e, quindi, un ritorno alla prossimità tipica delle associazioni e degli enti di terzo settore.

Per noi è uno strumento (forse l’unico, per ora) che ci consentirà di andare incontro ad una nuova normalità, ci consentirà non solo di poter abbracciare i nostri cari, ma anche di riaprire i nostri circoli e tutti quei luoghi di comunità dove quotidianamente si svolge e si sviluppa l’impegno di tanti volontari.

Lo stato attuale della nostra penisola “a colori” ci richiede ancora più responsabilità individuale: se nel precedente lockdown totale (di marzo, per intenderci), l’unico modo individuato era l’isolamento con l’astinenza totale dalle relazioni, la via che si persegue oggi è un richiamo alla sobrietà, all’uso del noi e non dell’io, come dichiarato apertamente dal Santo Padre, ovvero l’esplicito appello alla responsabilità di ognuno nei confronti dell’altro, all’auto limitazione.

È, quindi, ancora più evidente come il vaccino possa consentirci di ritornare più in fretta a relazionarci con le persone, e come esso possa considerarsi un antidoto al distanziamento interpersonale.

Sentiamo la responsabilità di tutelare chi è più fragile (e magari non può sottoporsi al vaccino, causa la sua fragilità), e dobbiamo considerare la campagna di vaccinazione come un diritto – dovere pubblico e collettivo, che non ci riguarda come singole persone, ma come intera comunità.

La scelta dei cittadini di vaccinarsi è libera, e la sua non obbligatorietà è per noi rassicurante, pur sapendo che per tutti si aprono interrogativi medici, etici, psicologici, sociali, giuridici e politici di non facile soluzione e spesso costituiti da istanze diverse e fondamenti antropologici, morali e di diritto differenti. Ma al di là delle discussioni sui diversi indirizzi che vengono prospettati, resta una considerazione che parte dal cuore dell’uomo e dalla concezione della propria libertà che non deve intendersi come semplice scelta di volontà individuale, ma di libertà responsabile e collettiva.

Come anche il Santo Padre ha ricordato, il vaccino deve essere “per tutti”, e deve essere dimostrazione che davvero siamo “fratelli tutti”, e deve intendersi come scelta etica. Ciò che Papa Francesco definisce “per tutti”, si può declinare in due modi:

Il vaccino funziona se tutti coloro che ne hanno possibilità si sottoporranno ad esso, come fratelli, tutelandosi l’un l’altro e proteggendo anche chi non potrà riceverlo per motivi di fragilità personale.

Ma vi è anche un altro modo di intendere questa dichiarazione, che deve essere colta soprattutto da noi, corpi intermedi, che si fanno carico delle istanze delle persone e, più spesso, dei più fragili: il vaccino deve essere somministrato secondo i principi di uguaglianza costituzionalmente garantiti e di cui noi, enti di terzo settore, ci facciamo quotidianamente sostenitori e promotori.

Sarà nostra premura, quindi, porre attenzione per far sì che il libero accesso al vaccino sia un diritto “per tutti”.

È solo attraverso un appello ad una libertà consapevole ed alla responsabilità dei cittadini che lo Stato può perseguire al medesimo tempo il bene del singolo e il bene di tutti, ossia il bene comune.