Ricorrono il 2 febbraio i 100 anni dalla morte del beato cardinale Carlo Andrea Ferrari, il quale, per tre anni, fu Vescovo della diocesi di Como, prima di essere chiamato alla guida della Chiesa ambrosiana. Domenica 31 gennaio, nel Duomo di Milano, l’arcivescovo Mario Delpini ha celebrato la solenne Messa di memoria. Alla liturgia, insieme ad altri 17 presuli, era presente anche il nostro vescovo, monsignor Oscar Cantoni. «Vedere i Vescovi della Regione Ecclesiastica Lombarda in questa occasione è un momento carico di profonda valenza simbolica. Pur nell’austerità di questo nostro tempo, sentiamo il dovere di esprimere vera gioia», ha detto, nel suo saluto di benvenuto, monsignor Gianantonio Borgonovo, arciprete della Cattedrale milanese. «Una gioia evangelica, per il totale riconoscimento di un vero profeta e discepolo del Signore, incompreso e misconosciuto in vita e, ora, maestro ammirato come intelligente anticipatore di quanto il Concilio Vaticano II avrebbe solennemente proclamato. Definito da san Giovanni XXIII un autentico santo, molto prima del 10 maggio 1987, data della sua beatificazione», ha aggiunto Borgonovo, citando ad uno ad uno i Vescovi presenti, tra cui monsignor Enrico Solmi, vescovo di Parma, nel cui territorio si trova Lalatta «piccola frazione dove nacque il figlio del falegname Giuseppe Ferrari»; monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla e, appunto, monsignor Oscar Cantoni, vescovo di Como, le due sedi episcopali rette dal Beato prima di passare a Milano di cui fu guida dal 1894 al 1921.

Dopo la proclamazione delle Letture, tratte dal Lezionario dei Santi, l’omelia – per la quale monsignor Delpini, ha detto di aver preso spunto sostando presso l’altare che, in Cattedrale, conserva le spoglie del beato Cardinale – si fa quasi dialogo diretto con il predecessore. E, così, nelle parole dell’Arcivescovo, risuonano quelle, di 100 anni fa, del Pastore ambrosiano che visse in una terra segnata dalla tragedia della guerra e dalla “Spagnola” che mieté nel mondo 50 milioni d persone. «Ho vissuto il dramma della guerra, l’arrivo di poveri profughi stremati dopo Caporetto. Ho visto che cos’è la miseria. Ho visto come sono generosi i milanesi». Ferrari, certo, disse anche questo nel 1917, e il suo successore ha riportato anche la denuncia fatta dal metropolita «per l’immoralità dilagante, la stampa anticlericale, l’emarginazione della religione dalle scuole, la corruzione dei giovani». Ferrari si impegnò per fondare un giornale cattolico unitario, per lo sviluppo dell’Azione Cattolica, per la promozione dell’Università Cattolica, «per l’unificazione e la qualificazione del Seminario».

Il Beato per ben 4 volte fece la Visita pastorale e consacrò moltissime chiese.  Il Vescovo Delpini ha riletto altri passaggi degli scritti del beato Ferrari. «Se considero il ministero del Vescovo e la missione della Chiesa, se voglio dire una parola che raccolga la mia lunga, impegnativa, tribolata ed entusiasmante esperienza di Pastore di questa santa Chiesa, che ho amato con tutte le mie forze, io suggerisco di cercare di essere amabile. Non parole dure, ma accoglienza benevola, non rimproveri aspri, ma inviti accorati, non reazioni aggressive, ma risposte gentili. Se vi trovate in un tempo tribolato per la pandemia, come è successo a me durante gli anni delle guerra e nella epidemia della spagnola, non preoccupatevi solo di voi stessi, siate amabili e solleciti nel prestare aiuto e nella prossimità a chi soffre di più». Amabili anche nel difficile confronto con chi muove critiche «amare e arrabbiate» o quando «avvertite quella specie di disprezzo di chi vi ritiene insignificanti». «Non affannatevi a dimostrare quanto siete importanti per la società, siate amabili, continuate a fare bene il bene, a credere nella verità di cui dovete essere testimoni e a dimostrare con la pace, il sorriso, la bontà, l’amabilità della verità. Quando sentite lo strazio degli abbandoni e avvertite i danni della corruzione che insidia anche il popolo di Dio e rovina i giovani, non arrabbiatevi, non deprimetevi, continuate a essere amabili, a stare in mezzo al popolo, a salutare con affetto anche chi vi ignora, a soccorrere con generosità anche coloro che vi hanno fatto del male e hanno detto male di voi e ora si trovano nel bisogno. Quando siete circondati da pretese impossibili e non potete rispondere in modo adeguato ai bisogni della gente e della società, non scoraggiatevi, non lasciatevi prendere da una improduttiva frenesia, continuate a fare amabilmente quello che potete e fidatevi di Dio». E di fronte alle divisioni «non pensate di risolvere i problemi con la durezza dell’autorità: piuttosto cercate di attirare tutti all’unità; se avete l’impressione di essere incompresi e trovate ostacoli, diffidenze, resistenze, non lasciatevi troppo ferire, non siate risentiti continuate a essere amabili, a spiegarvi con semplicità, a cercare di soffrire senza far soffrire».