Ad un anno dall’esplosione della pandemia la campagna vaccinale corre. Anzi, in verità cammina. A correre e ad accavallarsi sono invece le notizie sull’effettiva efficacia dei vaccini rispetto al proliferare di varianti, piuttosto che sulla loro pericolosità. Nel tentativo di contribuire ad un po’ di chiarezza sull’argomento Il Settimanale è tornato ad interpellare il dott. Domenico Santoro, già primario del reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale S. Anna di Como.
Dott. Santoro, il moltiplicarsi delle varianti rende inefficaci i vaccini attualmente in commercio?
«Allo stato delle conoscenze attuali i vaccini in commercio, mi riferisco in particolare a Pfizer/BioNTech, Moderna e AstraZeneca, risultano efficaci contro il virus prima delle varianti, e, pur con percentuali leggermente diverse, sembrano esserlo anche verso i nuovi ceppi virali. Resta certo qualche possibilità che, nonostante la vaccinazione, il soggetto possa infettarsi proprio a seguito di queste varianti, sembra però che difficilmente rischi di andare incontro a forme gravi della malattia. Nella peggiore delle ipotesi potrebbe ammalarsi in forma più attenuata».
La campagna vaccinale procede a rilento. All’inizio si è guardato con perplessità alla strategia inglese di vaccinare a tappeto la popolazione con la prima dose del vaccino AstraZeneca, posticipando la somministrazione della seconda. Ora che questo approccio pare stia dando buoni risultati c’è chi è diventato più possibilista rispetto a questa modalità. Qual è l’approccio migliore?
«La piena efficacia del vaccino AstraZeneca è stata testata e registrata sulla somministrazione di due dosi a distanza di un certo periodo l’una dall’altra. Così come il Pfizer/BioNTech o il Moderna. Proprio perché la doppia somministrazione è frutto di un’approfondita sperimentazione, appare ovvio risulti più sicuro utilizzare un vaccino nelle due dosi. La necessità di cambiare strategia nasce sostanzialmente dalla carenza di dosi sufficienti. Una scelta che pare abbia dato buoni risultati e che dimostra che anche solo la prima somministrazione ha già una sua efficacia. In buona sostanza appare ovvio, dal punto di vista medico, che la piena garanzia si abbia attenendosi alle procedure validate dalla sperimentazione. Naturale, poi, che i problemi di approvvigionamento inducano a scelte diverse. Per questo è fondamentale disporre delle dosi sufficienti».
La Lombardia, motore d’Italia e d’Europa… con un sistema sanitario “all’avanguardia”… Se tutto questo è vero perché questa fatica nella campagna vaccinale, così indietro anche rispetto ad altre regioni italiane?
«La Lombardia ha gli stessi bisogni delle altre regioni, con la difficoltà, però, di essere quella con la più alta concentrazione di abitanti per kmq in Italia e la più elevata presenza di RSA in rapporto al resto del Paese. Oltre ad essere caratterizzata da una importante attività economica, che significa movimento, relazioni. Appare ovvio che questo renda tutto meno semplice, sussistendo delle condizioni di rischio molto più alte».
Nei giorni scorsi si sono registrati casi, in particolare in una RSA del comasco, in cui si sono sviluppati focolai dopo la somministrazione del Pfizer/BioNTech. Il vaccino può esserne stata la causa?
«Escluderei sia stato possibile. Innanzitutto, perché questo vaccino non è composto da virus vivi. Pfizer/BioNTech e Moderna sono entrambi vaccini a base di un RNA messaggero (mRNA). All’interno del vaccino, l’RNA messaggero è protetto, incapsulato all’interno di sfere fatte di grassi (liposomi), simili a quelli presenti delle nostre cellule. Una volta iniettati nel nostro corpo, i liposomi liberano l’mRNA che contiene le informazioni necessarie per produrre la proteina Spike del virus, innescando la reazione dell’organismo. Rispetto alla circostanza citata, così come altre situazioni in cui persone vaccinate hanno sviluppato la malattia, una lettura possibile è che i soggetti vaccinati, che in quel momento stavano bene e per questo sono stati immessi nel protocollo vaccinale, avessero già in incubazione la malattia».
Sul fronte dei nuovi vaccini qualche passo lo sta compiendo anche l’Italia con Reithera…
«Su Reithera non sono ancore nelle condizioni di esprimere un parere, mancando ad oggi degli approfondimenti specifici. Pare che utilizzi un meccanismo del tutto nuovo rispetto ad altri. Ad ogni modo trovo più che giusto che l’Italia si muova per produrre un vaccino in autonomia. Certo potremo averlo a disposizione non prima del prossimo anno, ma dato che questa infezione ci accompagnerà ancore per diverso tempo, è essenziale dotarsi di propri approvvigionamenti e limitare la dipendenza dell’estero. Per la stessa ragione sarà importante convertire l’attività di alcune aziende italiane proprio nella produzione di vaccini».
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