Ore 19.00 di un normale venerdì d’inverno. Varchiamo la soglia dello stabile di via Borgovico a Como dove, dal 15 novembre scorso, 35 persone trovano un riparo notturno all’interno del dormitorio temporaneo (chiuderà, infatti, al 30 aprile) organizzato dalla Rete Cittadina degli Enti per la grave marginalità che vede lavorare fianco a fianco il Comune di Como e una molteplicità di soggetti riuniti sotto la sigla “Vicini di Strada”. Lo stabile, lo ricordiamo, è concesso gratuitamente per il secondo anno consecutivo dall’Amministrazione provinciale che ne è proprietaria.
Entriamo nella palazzina e saliamo le scale fino al quarto piano. Ad accoglierci è Serena Banfi, operatrice della Fondazione Somaschi e responsabile della struttura. «Ad oggi tutti i 35 posti sono assegnati, ma teniamo sempre due letti liberi per eventuali emergenze ovvero per persone fragili – perché ad esempio appena dimesse dall’ospedale – o perché anziane», racconta l’operatrice della Fondazione Somaschi, ente a cui è affidata la gestione della struttura all’interno del “Piano Freddo” predisposto dalla stessa rete.
Accanto ai posti di via Borgovico, tutti maschili, si aggiungano infatti i 16 posti messi a disposizione dalle parrocchie della città all’interno del Progetto Betlemme, promosso dalla Caritas diocesana, e i posti per le donne ricavati all’interno del dormitorio annuale di via Napoleona. A coordinare gli accessi ed eventuali spostamenti da una struttura ad un’altra è il servizio Porta Aperta della Caritas.
«La struttura di Borgovico – continua l’operatrice – rappresenta il dormitorio in cui la soglia di accesso è “più bassa”. Certamente ci sono delle regole, ma rispetto al dormitorio permanente o ai 16 posti messi a disposizione del Progetto Betlemme, sono sicuramente meno stringenti». Questo perché l’obiettivo è uno solo: evitare che qualcuno scelga di restare a dormire in strada in pieno inverno rischiando così di morire. «Alla prima settimana di febbraio – spiega Serena Banfi – tra persone spostate, accoglienze temporanee e qualche espulsione il numero di persone accolte era arrivato a 68».
Ore 19.30. Manca mezz’ora all’apertura del dormitorio quando i volontari di turno arrivano nella struttura. La loro presenza è fondamentale non solo per dare un sostegno ai due operatori e ai due custodi che, insieme alla referente, rappresentano il personale assunto del progetto, ma per creare un clima di dialogo e interazione con gli ospiti.
Nella serata di venerdì 4 febbraio tocca al gruppo delle Acli di Como, ma sono una quindicina le associazioni che partecipano a rotazione garantendo la presenza di sei volontari per ogni serata di cui quattro per l’accoglienza degli ospiti, dalle 20 alle 22, e due per l’intera notte. Altri due volontari arriveranno all’indomani per la colazione.
«Vivendo e lavorando da sempre fuori Como sono rimasta davvero impressionata dalla mobilitazione di enti e persone attorno a questo progetto. Forse per voi è qualcosa di normale, ma vi assicuro che vedere così tante persone che si alternano nei turni di “Emergenza Freddo” non lo è affatto», confessa la referente.
Tra loro c’è Mauro che fa il volontario da sei anni. Gli chiediamo cosa sia cambiato con il passaggio, lo scorso inverno, in questa nuova sede. «La possibilità di dormire in stanze da 2,3 o 4 letti, rispetto ad un grande dormitorio, rende sicuramente la permanenza più confortevole per gli ospiti. Forse è un po’ più difficile la socialità e l’incontro con noi volontari perché le persone tendono ad andare subito nella propria camera, ma va benissimo così, il miglioramento è evidente», racconta.
Al loro arrivo i volontari si dividono a coppie andando a presidiare i due piani in cui si trovano le camere, dove sono predisposte due aree ristoro con latte, tè caldo, caffè e biscotti mentre una coppia va all’ingresso per le procedure di accoglienza.
Ore 20.00. La porta del dormitorio si apre e i primi ospiti iniziano ad accedere. Tutti loro hanno il tesserino consegnato a Porta Aperta e, una volta entrati, firmano la presenza e vengono sottoposti al controllo della temperatura. Sono quasi tutti stranieri, tranne uno, con una prevalenza di persone da Tunisia e Somalia. Mentre gli ospiti continuano ad arrivare alla spicciolata chiedo ai volontari cosa li spinga a tornare qui, anno dopo anno, per dare il loro contributo a questo progetto. Un aiuto che non si è interrotto nemmeno durante la pandemia. «È un piccolo servizio, ma quando sei qui ne percepisci l’importanza», racconta Fausto, che aggiunge: «La cosa più bella è la relazione che si crea con le persone. Spesso non è facile rompere il ghiaccio e non con tutti si riesce a scambiare due parole, ma il semplice stare qui ti permette di cambiare prospettiva su un mondo che sentiamo spesso lontano. È bello quando l’indomani capita di incontrare alcuni degli ospiti in giro per Como e ti accorgi che non sono più estranei».
Ore 21.00. Il dormitorio è quasi pieno e lo sarà completamente tra meno di un’ora quando, alle 22.00, chiuderanno le porte. Resto alcuni minuti a chiacchierare insieme ai volontari con un ospite. È a Como da qualche settimana e quando scopre che sono un giornalista si assicura di non finire sul giornale. Do la mia parola, restando ad ascoltare insieme a due volontari il racconto di brandelli di una vita lunga e complicata. Chiudo il taccuino, ma le sue parole mi trattengono ancora a lungo insieme alla domanda che mi rivolge al momento dei saluti: «Tornerai?».