Dal 25 marzo scorso Rossano Breda è il nuovo direttore della Caritas diocesana di Como, chiamato dal vescovo Oscar Cantoni a raccogliere l’eredità del diacono Roberto Bernasconi scomparso il 17 marzo scorso. Questa è la sua prima intervista da direttore.

«Il mio primo contatto con la Caritas diocesana di Como è stato fortuito… o forse provvidenziale – racconta Rossano Breda -. Nel 2010 vivevo a Cassina Rizzardi e davo una mano in parrocchia con il gruppo missionario. In un incontro di formazione venne invitato il direttore Roberto Bernasconi che ci raccontò di sé e della Caritas. Dopo l’incontro presi con lui un appuntamento, andai nell’allora sede di via Grimoldi, conobbi alcuni operatori e decidemmo insieme di collaborare nell’ambito della formazione e dell’educazione alla mondialità, due ambiti da me seguiti nella famiglia comboniana da cui provenivo. Roberto fu così il primo aggancio a Caritas – se vogliamo inconsapevole – dentro un personale percorso di ricerca di spazi di servizio in particolare rivolto agli ultimi. Fino al 2015 sono stato semplicemente volontario, poiché ero farmacista, poi quell’anno sono stato assunto come operatore. Una svolta di vita».

Quali sono stati i tuoi primi passi in Caritas?
«All’inizio ho sostituito l’operatrice Rossella a Porta Aperta, ma in prospettiva si pensava anche a un mio impegno sul fronte della formazione pastorale. Questo servizio mi ha offerto la possibilità di inserirmi subito in un contesto definito; in seguito quella dimensione di incontro con gli ultimi, con i poveri è diventata fonte imprescindibile per intraprendere i percorsi nell’ambito dell’azione pastorale. Quante volte nei momenti formativi ho citato qualche colloquio avvenuto a Porta Aperta. Un impegno che ho voluto sempre mantenere, perché diventasse fonte di intuizioni, di contenuti da portare nell’animazione pastorale».

Quale impronta vuoi dare alla tua direzione?
«La parola che mi viene in mente è continuità. Continuità con uno stile che Roberto ha sempre sostenuto, cioè essere famiglia prima di tutto. In questi anni ho imparato che o si cammina insieme o non si va da nessuna parte. E che la prima carità a cui siamo chiamati è quella donata gli uni agli altri. Se c’è una cosa che ho sentito forte sin dal mio primo giorno in Caritas è: nessun giudizio, nessuna preclusione, grande apertura, disponibilità ad accogliere talenti e capacità nuovi. Quindi anche il luogo del lavoro è un luogo di conversione, perché il Signore attraverso le persone che incontri ti rivela sempre un pezzettino di sé, sempre diverso, sempre nuovo».

Pandemia e guerra in Ucraina: quali sfide rappresentano?
«La pandemia ha esasperato le povertà, le disuguaglianze sociali. La Caritas diocesana ha risposto in questi mesi senza mai chiudere i servizi, coordinando le tante azioni di solidarietà nate a livello personale e nelle comunità e sostenendo le famiglie in difficoltà con il Fondo diocesano Solidarietà Famiglia Lavoro 2020 che ha aiutato più di 1.500 persone. Ora la crisi ucraina ci vede impegnati ad accogliere chi fugge dalla guerra. La raccolta di aiuti economici ha raggiunto una cifra importante (oltre 400 mila euro, ndr) grazie all’intervento di tanti. A Casa Nazareth sono state ospitate in queste settimane oltre 15 persone (adulti e minori) in 7 stanze e l’accoglienza continuerà anche nei prossimi mesi. Sul territorio anche le comunità parrocchiali – oltre a tantissimi privati – stanno facendo la loro parte e proprio per conoscere nel dettaglio l’entità dell’accoglienza stiamo mettendo a punto una ricerca che sarà costantemente aggiornata. L’obiettivo è di conoscere il lavoro fatto finora e stimolare altre realtà e persone a fare altrettanto in un processo virtuoso e generativo».

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