Sabato 30 aprile, alle 10.00, nel Duomo di Milano, la venerabile Armida Barelli sarà proclamata beata, insieme al sacerdote ambrosiano don Mario Ciceri. A presiedere il rito solenne sarà il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Fra i concelebranti anche il vescovo monsignor Oscar Cantoni. L’ormai prossima beata Armida Barelli è molto legata alla nostra diocesi di Como, in particolare al paese di Marzio, nelle Valli Varesine, e allo storico parroco don Luigi Curti. Proprio don Curti, nella sua biografia, scrisse: «… la sig.ra Savina Barelli, … nel 1919, venne a passare le vacanze estive. Al termine di queste vacanze scrisse una lettera a sua figlia Armida in cui diceva: “Se proprio non vuoi venire a passare le vacanze, almeno vieni a vedere dove è andata a finire tua mamma”».

Ma con il passare del tempo lo ha amato sempre più e ha vissuto in questo paese esperienze spirituali profondissime. Qui lei ha pregato, ha lavorato intensamente; qui è tornata quando la sua malattia ha fatto capire che si avvicinava il momento di “partire per il cielo”. Da qui ha continuato a seguire le opere a cui ha dedicato la vita, a soffrire e offrire per esse. Per Armida Marzio è stato il luogo in cui ha rafforzato il suo legame con la madre riuscendo, a poco a poco, a coinvolgerla nelle sue attività apostoliche; ha sostato per recuperare le energie fisiche minate da diverse malattie anche serie; ha lavorato, instancabile come sempre; ha coltivato rapporti di amicizia profondi e veri; ha vissuto momenti di dolore e di prova legati alle vicende della sua famiglia spirituale, ma anche alle vicende del Paese; ha pregato («la Villa San Francesco – scrive don Luigi Curti – non era solo il laboratorio instancabile che faceva funzionare le Opere di Armida Barelli, era anche il Tabor dove poteva ricuperare i vuoti di preghiera di Milano»); da qui è “partita per il cielo”. “Villa San Francesco”, restaurata nel 2015, è un luogo in cui poter “incontrare” di più da Armida Barelli. La cameretta in cui ha lavorato ed è morta, la piccola cappella in cui ha pregato e fatto quotidianamente l’Adorazione eucaristica, il silenzio che la avvolge, il verde in cui essa è immersa e i monti che si scorgono in lontananza, quasi naturalmente invitano a sostare in un ascolto intenso e profondo, parlano al cuore di una vita spesa e donata con generosità e in letizia, risvegliano nostalgia di cielo. Sono questi i doni che ancora oggi Armida Barelli fa agli abitanti di Marzio e a tutti coloro che visitano la Villa.

La Barelli nasce il 1° dicembre 1882 a Milano da una famiglia borghese, studia in un collegio svizzero. Tornata a Milano, si dedica ai ragazzi abbandonati e poveri, collaborando con Rita Tonoli, che fonderà poi un istituto dedito all’assistenza di tali ragazzi e che la mette in contatto con padre Agostino Gemelli, appena convertito. L’incontro con il frate segna per lei l’inizio di una collaborazione che durerà tutta la vita: Azione cattolica, Istituto Secolare Missionarie della Regalità, Università cattolica del Sacro Cuore, Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Nel 1918 fonda la Gioventù femminile cattolica milanese, chiamata a tale incarico dal cardinale Carlo Andrea Ferrari che, dinanzi alla propaganda marxista, vede l’urgenza di una formazione delle giovani, per testimoniare con la vita il battesimo ricevuto. La Barelli si sente inadeguata per tale compito, ma dinanzi all’urgenza che le viene fatta notare, accetta. Diventa la “Sorella maggiore” di un gruppo di giovani che dalle parrocchie milanesi si ritrovano in vescovado ad approfondire problemi teologici e sociali per controbattere la propaganda marxista. L’esperienza positiva di Milano spinge il papa Benedetto XV ad affidarle lo stesso compito per tutte le diocesi italiane. Ancora una volta, la Barelli vorrebbe non accettare l’incarico, ma alle sue resistenze e al desiderio di partire come missionaria, il Papa risponde: «La sua missione è l’Italia», e la invia «non come maestra tra allieve, ma come sorella tra sorelle», perché le giovani prendano coscienza del loro essere cristiane e riscoprano la loro dignità di donne. Siamo nel 1918, e la Barelli inizia il suo primo giro lungo la penisola per chiamare a raccolta le giovani, che rispondono con entusiasmo. Propone loro un cammino esigente e difficile: andare contro corrente, grazie all’impegno personale della formazione e alla vita di gruppo, avendo come fondamento un trinomio: eucaristia, apostolato, eroismo, che segnerà la vita di tante giovani donne.

Nel 1919, insieme a padre Gemelli, fonda l’Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo e con lui anche l’Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo per la diffusione della liturgia. Fonda case di spiritualità nei più importanti luoghi francescani e promuove una vasta opera di formazione spirituale e di discernimento vocazionale. Nel 1921 fa parte del gruppo dei fondatori dell’Università cattolica del Sacro Cuore, fermamente convinta di intitolarla al Sacro Cuore e ne diventa indispensabile responsabile economica. Accompagna con straordinaria efficacia tutte le fasi di sviluppo dell’Ateneo per i primi trent’anni contribuendo, soprattutto con l’annuale Giornata per l’Università cattolica a mobilitare i cattolici italiani. Organizza convegni, pellegrinaggi, settimane della purezza, settimane sociali e attività per le missioni. Partecipa ai congressi internazionali della Gioventù femminile ed è sempre aperta ad accogliere quanto di nuovo può venire dalle esperienze di altri Paesi e può essere trasferito nella realtà italiana, segnata dal regime fascista che lei considera incompatibile con la formazione della Gioventù femminile. Al crollo del regime, continua un’opera preziosa per l’inserimento nella vita politica delle donne chiamate a votare per la prima volta. La sua apertura al mondo che la circonda, oggi diremmo ai segni dei tempi, è straordinaria, perché nasce dalla sua vita mistica che le fa cogliere le grandi potenzialità della fede e della missione della Chiesa. Fu determinante e concreto il sostegno della Gioventù femminile per l’Istituto Benedetto XV in Cina, da cui nacque una congregazione religiosa femminile cinese, attualmente operante. La sua spiritualità, fondamentalmente francescana, si arricchisce di altri tipi di spiritualità presenti nell’Ac che, come tale, si nutre della spiritualità battesimale comune a tutti i fedeli. Questo spiega come nella Gioventù femminile siano nate vocazioni religiose di diverso tipo e il matrimonio sia stato vissuto come una autentica vocazione. Dalla radicalità evangelica battesimale vengono le tante testimoni di santità della Gioventù femminile (alcune già riconosciute ufficialmente come tali dalla Chiesa): giovani donne che hanno seguito eroicamente Cristo sulle strade del mondo. Nel 1946, Armida viene nominata vice presidente generale dell’Azione cattolica da Pio XII. Nel 1949, si ammala di paralisi bulbare, che la porterà alla morte. Scrive: “Accetto la morte, quella qualsiasi che il Signore vorrà, in piena adesione al volere divino”. Muore il 15 agosto 1952 a Marzio (Varese). È sepolta dal 1953 nella cripta della cappella dell’Università cattolica del Sacro Cuore a Milano.

Verso la beatificazione – I miracoli riconosciuti di Armida Barelli e di don Mario Ciceri
Il percorso verso la beatificazione, per Armida Barelli cominciò il 17 luglio 1970. Il miracolo attribuito all’intercessione di Armida Barelli è avvenuto a Prato. Il 5 maggio 1989, la signora Alice Maggini, di 65 anni, è stata investita da un camion mentre viaggiava in bicicletta riportando una forte commozione cerebrale. I medici avevano previsto gravi conseguenze di tipo neurologico. È stato allora che la famiglia della signora ha invocato l’intercessione della Serva di Dio: in modo scientificamente inspiegabile, Alice Maggini si è ripresa completamente e, senza aver riportato conseguenze, ha continuato la sua vita in totale autonomia fino alla morte avvenuta nel 2012. È legato a Como il miracolo che ha portato alla beatificazione di don Mario Ciceri. Il fatto riguarda Raffaella Di Grigoli, all’epoca una bambina di sette anni. Il 16 settembre 1975 fu ricoverata all’ospedale Valduce di Como, dove le venne diagnosticato un “dolicosigma”, ossia un allungamento fuori norma del colon. Due interventi chirurgici in rapida successione non risolsero la sua situazione, tanto che il 30 ottobre 1975 le fu amministrata la Cresima in articulo mortis. Quando neanche un terzo intervento sembrava avere esito positivo, la zia della bambina pensò di ricorrere all’intercessione di don Mario. Informò del caso la sorella del sacerdote, che consegnò alla famiglia un foulard a lui appartenuto. La madre di Raffaella lo posò più volte sul suo corpo, accompagnando il gesto con le sue preghiere, alle quali si unì tutta la famiglia. Il quadro clinico migliorò, tanto che Raffaella fu dimessa il 4 febbraio 1976 e, nel 2005, divenne a sua volta madre di una bambina.