«Servirà tempo, forse una generazione, per curare le ferite di questa guerra». Incontriamo il maestro Oleg Rozhok nella sede dell’associazione “Cantosospeso” di Milano. Direttore di coro del Teatro accademico nazionale dell’Operetta di Kiev e docente dell’Accademia nazionale di musica dell’Ucraina, Rozhok, domenica 12 febbraio, alle 18.00, nella chiesa di san Lorenzo in Monluè a Milano, dirigerà il concerto “Una voce per l’Ucraina”. L’ingresso a offerta libera permetterà di raccogliere fondi utili a sostenere i progetti di aiuto concreto a favore delle popolazioni martoriate da un anno di guerra (info: prenota.cantosospeso@gmail.com; telefono 331 8279749). Sottotitolo del concerto, infatti, è “La musica scalda”. L’iniziativa è frutto della collaborazione fra la meneghina “Cantosospeso”, rete culturale che promuove da 35 anni il canto corale come esercizio di convivenza e integrazione, e l’associazione comasca “Eskenosen”, realtà che da quasi 15 anni si occupa di accoglienza, dialogo e fraternità.
“Eskenosen”, da subito, si è mobilitata nel dare ospitalità a famiglie ucraine. Contemporaneamente ha sviluppato una serie di operazioni umanitarie, in collegamento con padre Luca Bovio, sacerdote della Consolata pastoralmente impegnato in Polonia, per portare aiuti in Ucraina: cibo, vestiario, ma anche generatori elettrici, stufette e legname. «Siamo molto grati all’Italia per tutto l’aiuto che ci sta dando», dice il Maestro. Rozhok è riuscito a raggiungere Milano grazie all’intervento della presidente di “Eskenosen”, Chiara Giaccardi: con la guerra in corso, gli uomini non posso lasciare l’Ucraina. Un’esperienza che il Maestro ha già vissuto. «Nessuno di noi credeva si potesse arrivare al conflitto – ci racconta con l’aiuto di un giovane traduttore, Sasha, studente ucraino a Milano –. La mattina del 24 febbraio nemmeno avevamo capito che quei rumori sordi erano le prime bombe che segnavano l’inizio della guerra». Insieme alla moglie Zoia (soprano, che canterà al concerto di domenica) e al figlio di soli 4 anni, i Rozhok raggiunsero il centro di Kiev, «da mia madre, per nasconderci nel rifugio antiaereo, ma non ci sentivamo sicuri. Allora decidemmo di andare dalla madre di Zoia e abbiamo attraversato Irpin, Bucha, tutti paesi dove sappiamo quali orrori abbia portato la guerra. Siamo scappati ancora, verso la Polonia: 130 chilometri in coda, mentre i finestrini dell’auto tremavano per le bombe». Sul confine Oleg ha salutato i suoi affetti – che hanno trovato ospitalità a Danzica – ed è tornato a Kiev. «Dopo mesi di chiusura – ci spiega – dalla scorsa estate è stata la gente a chiederci di tornare a fare musica. Anche se fuori c’è la guerra, la cultura non può essere fermata. Per noi ucraini la tradizione musicale nasce dalla terra: il canto ci accompagna nelle nostre attività quotidiane. Forse è anche per questo che ci sentiamo così vicini a voi italiani, alla vostra musica e alla vostra lingua così armoniosa». Il teatro più forte delle bombe: «nonostante gli attacchi e i blackout la cultura sopravvive».
Per tutta questa settimana il Maestro Rozhok ha tenuto laboratori, insieme al direttore di “Cantosospeso” Adrian Roque Santana e al vocal coach Davide Rocca (baritono del coro della Scala), nella sede della rete culturale, un luogo che già nella sua collocazione, il mezzanino del passante ferroviario di Porta Vittoria a Milano, esprime il desiderio di incontro, di passaggio, di scambio. Domenica 12 febbraio il repertorio del concerto proporrà brani della tradizione ucraina, italiana ed europea. In che modo la cultura potrà essere veicolo di pace? «In questo momento – riconosce Oleg – la situazione è molto difficile. Troppe persone sono morte e continuano a morire. L’Ucraina sta dicendo al mondo che c’è e ognuno sta dando il proprio contributo a sostegno del paese. La pace ci sarà solo se l’Ucraina continuerà a esistere».