si svolgerà la Giornata de “Il Settimanale della diocesi di Como”. . , , ̀ ’ e sarà trasmessa in diretta su EspansioneTV. La “Giornata del Settimanale” è l’occasione per l’avvio della campagna abbonamenti 2024. .
Perché riferirsi ancora al Settimanale, nell’epoca dell’informazione digitale? Dove Internet ha sostituito la carta stampata (chiedetelo soprattutto ai giovani), e, secondo alcuni profeti di sventura, i giornali hanno ormai le ore contate?
A questa domanda potremmo dare molte risposte, da diverse angolature. Perché il Settimanale fa da foglio di collegamento, per una diocesi vasta e variegata come la nostra. Informa e connette, come un ordito sul quale possono inserirsi ed essere raccontati i fatti e gli avvenimenti della nostra Chiesa locale. Probabilmente ci accorgeremmo di questo ruolo di cucitura solo nel momento in cui il Settimanale non dovesse esserci più (e il timore un po’ c’è, vista la crisi generalizzata della carta stampata).
Perché il Settimanale dà visibilità a tutto un mondo di relazione e di socialità che normalmente trova poco spazio nei circuiti comunicativi che vanno per la maggiore, dove conta prevalentemente il sensazionalismo, o la notizia che fa scalpore. La lettera di un missionario, la testimonianza di una famiglia che vive l’affido, il tessuto relazionale delle parrocchie e delle associazioni, tutto questo sul Settimanale trova vetrina e rappresentazione. Aspetti della realtà che non entrano per lo più in quella dinamica comunicativa (digitale) nota come «scroll», cioè la capacità di una notizia di diventare visibile anche soltanto in alcune sue parti interne.
Perché la professionalità del gruppo redazionale del Settimanale assicura un’informazione competente e veritiera, con uno spiraglio aperto sull’attualità italiana, europea e mondiale, in ciò avvalendosi anche della rete dei collaboratori garantita dal SIR (Servizio di Informazione Religiosa) e dalla FISC (la Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici).
C’è forse però anche un ulteriore motivo di fedeltà al Settimanale, e sta nella parola-chiave che sentiamo ripetere in tanti dibattiti ecclesiali del nostro tempo: la parola sinodalità. È una parola tecnica, di comprensione non facile né immediata, specie se applicata al mondo della comunicazione. Ma che diventa ben chiara nel momento in cui provassimo a declinarla nel suo opposto, che è «polarizzazione». «Comunicazione sinodale» è l’esatto contrario di «comunicazione polarizzata». «Polarizzazione» significa un tipo di informazione che sembra essere diventata dominante (se non egemone) nel nostro tempo, e che predilige la partigianeria, la netta scelta di campo, i toni duri e i linguaggi aggressivi, la spartizione del mondo in buoni e cattivi, la denigrazione sistematica dell’avversario, l’incasellamento e l’interpretazione dei fatti in modo rigorosamente ideologico (alla faccia della «realtà che supera l’idea»).
Al contrario «sinodalità» allude a moderazione, equilibrio, senso della complessità del reale, comunicazione non violenta, passione per l’insieme, ricerca del buono che è in ognuno, costruzione di ponti e di sintonie per interstizio fra visioni diverse, ma non nemiche. In buona sostanza, tutto quello che oggi non fa chiasso, non fa clamore, non fa vendere, non fa schizzare in su gli ascolti. Ma che forse proprio per questo merita di essere raccontato, e di essere raccontato così. «Chi non polarizza – verrebbe da dire con una battutaccia – si pollarizza», cioè si candida a diventare un pollo destinato ad essere infilzato allo spiedo, nel gran mare della comunicazione dove nuotano i pescecani. Ma alla polarizzazione della comunicazione noi continuiamo a preferire la meno redditizia ma più costruttiva sinodalità.