L’8 settembre 1943 è una data scolpita nei libri di storia. Quel giorno viene reso noto l’armistizio tra l’Italia, stremata da tre anni di conflitto, e l’esercito anglo-americano. A sottoscrivere l’intesa, 5 giorni prima, il 3 settembre, a Cassibile (in Sicilia) era stato il capo del governo italiano, il maresciallo Pietro Badoglio.

L’8 settembre 1943 è un caldo mercoledì di fine estate. L’annuncio del capo del governo Badoglio è ascoltato alla radio americana dall’incaricato d’affari tedesco a Roma, Rahn, alle 17.45. Poche ore prima, verso mezzogiorno, Rahn era stato ricevuto dal re d’Italia Vittorio Emanuele III ottenendo assicurazione che l’Italia non avrebbe mai capitolato, e che ancora per molto tempo italiani e tedeschi avrebbero camminato lungo sentieri paralleli…

Dopo l’armistizio poche ore bastano alle truppe tedesche per consolidare le proprie posizioni sul territorio italiano. A soli 60 minuti dall’annuncio carri armati tedeschi già si fanno sentire a Nizza, a Salerno e sul Brennero. Il 9 settembre alcune unità dell’armata di Rommel entrano a Trieste. Kesserling raggruppa rapidamente le sue forze nel sud Italia, per impedire lo sbarco alleato a Salerno e per rafforzare il controllo su Roma. Badoglio e la famiglia reale lasciano la capitale nelle prime ore del 9 settembre, informati riguardo a massicci bombardamenti tedeschi alla periferia di Roma.

A Como il 9 settembre, non appena si diffonde la voce che truppe tedesche si stanno avvicinando a Milano, alcuni operai antifascisti e un gruppo di intellettuali organizzano una manifestazione in piazza Duomo per dibattere sull’occupazione imminente. Interviene Pier Amato Perretta, stimato giudice comasco, che esorta le 200 persone presenti a recarsi in Prefettura e al Distretto militare per chiedere la consegna delle armi, costituire una “Guardia Nazionale” ed iniziare da subito la lotta armata contro i tedeschi.

Lo stesso giorno “La Provincia”, il principale quotidiano comasco, descrive così la reazione del popolo lariano alla notizia dell’armistizio:

“L’armistizio chiesto dal maresciallo Badoglio ha colto ieri sera alla sprovvista il popolo del Lario il quale ha manifestato in varie maniere la reazione che in esso la notizia, a lungo attesa e sollecitata, ha provocato. E’ stato come un senso di liberazione da un incubo che ora è scomparso per lasciare il posto ad un sentimento di commozione profonda. Armistizio non vuol dire ancora pace. Però la folla anonima pensa che si sia sulla strada per ottenere anche quest’ultima (…)”

Il 12 settembre, domenica, verso mezzogiorno, reparti corazzati e di fanteria motorizzata tedeschi entrano in Como e dispongono il blocco del valico verso la Svizzera di Ponte Chiasso. Così raccontava qualche anno fa il senatore comasco Mario Martinelli, testimone e protagonista di quegli anni:

“(…) ricordo quel pomeriggio del 12 settembre, quando vidi arrivare nella piazza di Porta Torre a Como le colonne di una divisione tedesca di granatieri, con carri blindati, che manovravano come se stessero svolgendo un’esercitazione in una piazza d’armi conosciuta (…)”

A Como i nuovi occupanti fissano, in poche settimane, i propri puntelli. Il comando germanico (Platzkommandantur) si stabilisce nella parte retrostante della Casa del Fascio; la Gendarmeria (Feldgendarmerie) presso il Palazzo Saibene in piazza S. Agostino e la Polizia Segreta (Sicherheitsdienst: più nota come Gestapo) in via Zezio. Il Servizio Logistico alloggia presso l’Hotel Suisse, in piazza Cavour; il RUK (Rustungs-und Kriegsproduktion), ossia il Dipartimento “Armi e Produzione bellica”, presso l’Istituto Carducci.

A Villa Guardia viene allestito il Comando Generale delle SS della provincia, e nella Villa Locatelli di Cernobbio quello di tutta la Lombardia.

Oggi sono sempre meno i testimoni di quei giorni, che segnarono un radicale cambiamento di rotta nell’andamento del conflitto. Noi siamo riusciti a raggiungerne qualcuno che, scavando nella memoria, ci ha regalato piccoli frammenti di un passato che non vogliamo dimenticare.

Sul Settimanale numero 33 le testimonianze di Ernesto Maltecca, classe 1923; Wilma Conti, classe 1929 (che conobbe Luigi Canali: soprannominato Neri, e Giuseppina Tuissi: Gianna) e Luciano Forni, classe 1935.

Giuseppina Tuissi

Luigi Canali