Trent’anni fa la Valtellina fu sconvolta da alluvioni e frane. Fu un’estate che modificò la geografia del territorio montano e di fondovalle. Un’ondata anomala di correnti umide e calde, lo zero termico, per settimane, oltre 4mila metri, provocò lo scioglimento impetuoso di nevai e ghiacciai e, soprattutto, cominciarono le piogge torrenziali. Nessun angolo fu risparmiato dalla furia degli eventi naturali: un cataclisma eccezionale che andò a colpire un contesto già fragile dal punto di vista idrogeologico. La terra, sotto il peso di tanta acqua, letteralmente collassò…
Martedì 18 luglio, alle ore 11.00, ad Aquilone (dove è stato realizzato un luogo di culto e memoria delle vittime) si svolgerà la cerimonia del trentennale da quel disastro: saranno presenti il vescovo, monsignor Oscar Cantoni e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, insieme a numerose autorità.
Moltissime le immagini di quei giorni che costarono la vita a 53 persone e provocarono danni per 4mila miliardi di lire.
Il primo evento tragico si verificò in Val Tartano, proprio il 18 luglio, con il crollo del condominio “La Quiete” che si abbattè, a sua volta, sull’albergo “Gran Baita”. Qui si contarono i primi 11 morti… Un dolente rosario di danni, esondazioni, evacuazioni, valanghe di terra e fango, fino alla frana del Monte Zandila-Pizzo Coppetto: 40 milioni di metri cubi di montagna che, la mattina del 28 luglio, precipitarono alla velocità di diverse decine di chilometri orari, fino a risalire sul versante opposto e spazzando Sant’Antonio Morignone e parte di Aquilone in Valdisotto (35 persone persero la vita). Qui l’Adda subì un pericoloso sbarramento, creando il lago artificiale della Val Pola che, a fine agosto, fu svuotato nel corso di una “tracimazione controllata” passata alla storia.
Eventi ancora molto presenti nella memoria dei valtellinesi e, per non dimenticare, nelle prossime settimane, su tutto il territorio si moltiplicheranno incontri, mostre, tavole rotonde. Iniziative per non dimenticare quella tragedia umana e naturale collettiva, che sconvolse la provincia di Sondrio e interessò tutto il bacino dell’Adda, compreso il Lago di Como, fino alla città di Como, con il Lario esondato per mesi, tanto che in quell’occasione nacque l’idea del progetto per le paratie che, ancora oggi, sul lungo lago del capoluogo lariano, non ha trovato progettazione definitiva.
Ricordare è un omaggio alle vittime, un fare memoria dell’impegno per recuperare la normalità. Nonostante il territorio ferito e l’Alta Valle isolata dal resto della provincia per sei mesi, la gente si mobilitò per ricostruire e spalare il fango subito.
Tutti hanno ben fisso nella memoria un editoriale di Indro Montanelli il quale scrisse – mentre imperversavano le polemiche per la manutenzione del territorio non fatta o per gli interventi inadeguati o per le costruzioni in luoghi non adatti – che i valtellinesi sono «gente che merita la nostra fiducia. Il coraggio, la compostezza, la misura, la dignità con cui hanno saputo reagire alla catastrofe, sono, o dovrebbero essere, un esempio per tutti. Davanti allo spettacolo dei costoni mangiati dalla frana, degli squarci aperti dai torrenti impazziti nella carne viva della terra, dei desolati sudari di fango, mi è venuto fatto di pensare quanto ci piacerebbe sentirci italiani se l’Italia fosse, anche sommersa, tutta Valtellina».
Storica, a fine settembre 1987, la marcia della fede, guidata dal vicario episcopale per la provincia di Sondrio monsignor Eliseo Ruffini, dalla Madonna del Piano di Bianzone al Santuario della Madonna di Tirano, alla presenza di oltre 15 mila fedeli.
«Quando la paura era grande e le riflessioni si accavallavano dentro, pensavo che veramente si dovesse tentare di capire entro la volontà di Dio Padre ogni cosa: il vivere e il morire, la sofferenza e la gioia, il possesso dei beni e la loro perdita… Tutto, per noi credenti, avviene entro una cornice misteriosa di amore». Così scriveva il vescovo monsignor Teresio Ferraroni nel suo Messaggio ai Valtellinesi. «Queste giornate di sofferenza hanno ridestato nei nostri cuori un profondo senso di solidarietà – diceva ancora il Vescovo Teresio -: vi assicuro che mi sono commosso… Quanto è bello vedere i nostri sacerdoti e religiosi vivere il loro servizio con generoso coraggio; quanto è bello vedere gesti e sentire parole dei nostri fratelli, pieni di fede e di speranza in Dio, pieni di volontà per riprendere assieme un cammino… Se la paura, se i dolori subiti ci renderanno più buoni, sia benedetto il Signore».