Lo sguardo di Josephine, la donna salvata dalle acque del Mediterraneo due giorni fa, dopo il naufragio dell’imbarcazione di fortuna su cui si trovava (l’unica superstite del gruppo), è il punto di partenza della nota diffusa nel pomeriggio del 19 luglio dalla Conferenza episcopale italiana sul tema delle migrazioni e dei salvataggi in mare. Josephine, dal Camerun, aveva raggiunto la Libia per poi imbarcarsi direzione Europa. Le sue speranze si sono infrante 80 miglia a largo dalle coste africane: è rimasta in balia delle onde almeno per 48 ore. Poco lontano, sui resti del gommone rovesciato, i corpi senza vita di una donna e di un bambino. Dalla Cei il richiamo, forte, a non assuefarsi alle tragedie, a non volgere lo sguardo altrove, consapevoli del fatto che tutti dobbiamo sentirci responsabili dei fratelli e delle sorelle poveri. Tutti i poveri.

Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane sono solo l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci.

Ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace.

Come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto.

Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare.

Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata.

La Presidenza

della Conferenza Episcopale Italiana

Roma, 19 luglio 2018