Don Federco Pedrana, sacerdote della Diocesi di Como, frequenta la Romania ormai dal 2007. Da alcuni anni è il referente, nella capitale Bucarest, di una comunità davvero speciale: una casa dove vivono alcuni uomini, in arrivo dall’Italia, per completare, dopo aver vissuto in strutture in Italia, il loro percorso di recupero dalla droga o dall’alcol, impegnandosi nelle attività di volontariato promosse dalla Comunità Papa Giovanni XXIII°: sostegno alle famiglie Rom e ai bambini, visite agli orfanotrofi, sostegno e preghiera insieme ai senza tetto che vivono in città.

Don Federico Pedrana, la parte più dura della pandemia sembra essere passata. Come stai e come state nella vostra comunità?
«Grazie a Dio stiamo tutti bene! Alcuni senza fissa dimora che vivevano con noi, dopo la fase 1 hanno voluto lasciare la casa, ma stanno tornando. E stiamo capendo come fare a riaccoglierli. In questo momento siamo in otto persone più io. Sei ragazzi italiani ex tossicodipendenti e due ex senza fissa dimora. Ad agosto arriveranno anche due ragazzi in servizio civile. Uno dei ragazzi italiani di 40 anni qualche giorno fa mi ha detto: “La mia vita è sempre stata o con la droga o con i preti”… che bello veder questi giovani a spendersi per gli ultimi, fino ieri si drogavano, vivevano ai margini… oggi sono attori e protagonisti di un’esistenza rinata! E’ una nuova Pasqua, ogni giorno».

Avete ripreso le vostre attività? Con quali accorgimenti?
«Con i bambini zingari siamo ancora fermi, non riuscirebbero a tenere la distanza sociale. Per loro il contatto fisico (purtroppo e per fortuna) è fondamentale. Non abbiamo ancora ripreso con i ragazzi disabili dell’istituto, sarebbe troppo rischioso per loro. In compenso abbiamo ripreso e rinforzato l’attività con i senza fissa dimora lungo le strade della città. Mascherina, guanti, distanza di almeno un metro e… via! Tutte le sere siamo sulla strada per incontrare chi non teme il covid 19. Purtroppo queste persone sono talmente a pezzi per cui non sono interessate dalla pandemia. Tutte le sere siamo con loro in più luoghi della città. Il martedì sera li andiamo a prendere alla stazione, li portiamo a casa nostra per una cena, una doccia ed una preghiera. È un momento molto profondo. La Bibbia ci dice che “il corpo è tempio dello Spirito Santo”, ma purtroppo a Bucarest i pochi centri d’aiuto sono ancora chiusi e i poveri sono ancor più messi male nel corpo… non riescono a rispettarsi, che tristezza. La domenica sera, dopo il giro alla stazione, con il pulmino percorriamo in modo abbastanza casuale le vie della città e, nel pieno della notte, incontriamo lungo i marciapiedi i “dimenticati”. Una sera la settimana non usciamo perché quella è la notte Santa, è la notte dell’attesa della Resurezione: il sabato notte dedicato interamente all’adorazione, un momento dove sempre lo Spirito Santo, nel Corpo di Gesù, ci viene ad abitare ed invadere… che bello!

Quali strascichi vedi nella società rumena e in particolare su una città come Bucarest?
«Una società, una città economicamente in ginocchio. Tantissimi negozi ed uffici hanno l’insegna “Inchiriat” (affittasi). Con l’angoscia e la paura della fame perché gli spauracchi del regime comunista stanno ancora nei cassetti di ogni persona che abbia più di 40 anni…»

Come la pandemia sta incidendo sulla vita dei più poveri?
«I poveri, lo dicevo sopra, diventano ancora più poveri. Hanno più fame (il cibo che portiamo non basta mai), hanno più bisogno di lavarsi, di pulirsi, hanno più bisogno di tutto. Persone già vulnerabili in tempi “normali” oggi sono ancor più persi!»

In una tua lettera inviata durante la quarantena avevi parlato di quello attuale come un momento di grazia, come un’opportunità. Lo pensi ancora o ti sembra che in troppi stiano cercando semplicemente di ricominciare tutto da dove ci si era fermati, senza nessun cambiamento?
«Mi piace sempre pensare a quando la mamma di Santa Madre Teresa di Calcutta le disse, pochi giorni prima della sua partenza per il convento: “Partendo, non voltarti per salutarmi, altrimenti tornerai indietro”. Non voltiamoci indietro, se non per far memoria perchè noi siamo di Cristo e “le cose vecchie sono passate, ne stanno nascendo di nuove” (ci dice San Paolo). E’ così. Nessuno di noi potrà mai dimenticare la preghiera che papa Francesco ha fatto il 27 marzo scorso in una Piazza San Pietro piovosa e deserta. Accanto a quel crocifisso bagnato dalle gocce di pioggia (che erano le gocce di sudore di Cristo) il Papa usò termini che se li andiamo a rileggere sono di una forza incredibile: “Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, e di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza”. E come disse la mamma di Madre Teresa, non voltiamoci, ma andiamo avanti perché una speranza nuova già c’è! Continuo a crederci.

Nella lettera accennavi ad un prossimo cambio di casa e una novità per la Papa Giovanni a Bucarest? Ci racconti cosa bolle in pentola?
«Son sempre più convinto che lo Spirito Santo decide per noi. Noi dobbiamo semplicemente avere il cuore libero per ascoltarlo nella “brezza leggera” come fu per il profeta Elia. è successo di tutto durante la chiusura totale del coronavirus, nel mese di marzo. Il sogno che coltivavo da molto tempo è diventato realtà: stiamo aprendo la casa in cui viviamo oggi ai senza fissa dimora diventando “Capanna di Betlemme”, una casa di accoglienza per persone che vivono sulla strada. Vogliamo tentare di rendere concrete le parole di don Oreste Benzi, il nostro fondatore: “Quando i poveri vi chiederanno: “Dove andrò?”, dategli il vostro indirizzo. Quello che succederà dopo dipenderà dalla vostra capacità di stare in ginocchio e di vedere tutta la realtà non alla moda degli uomini ma secondo Dio”. Che bello, incontrare queste persone sulla strada, portarle a casa nostra e poter dire loro: “è anche casa tua”.