Disagio, paura, ansia, malessere. Ma anche rabbia, frustrazione, impotenza. Gli effetti del coronavirus hanno attraversato le nostre vite e stanno mettendo a dura prova la nostra stabilità emotiva, nonché le capacità di relazione. Dentro un quadro, delineato dalla profonda incertezza, la preoccupazione è rivolta certo a se stessi, ma anche, soprattutto, ai propri cari, alle persone più fragili e più esposte ai rischi del virus.

Tra queste spiccano i tanti anziani che popolano le case di riposo del nostro territorio. La nuova ondata ha imposto alle Rsa di stringere nuovamente le maglie di accesso alle strutture, il cui ingresso ai familiari è vietato dalla metà di ottobre. Con i propri congiunti i contatti, già calmierati e regolati da rigoroso distanziamento, da qualche settimana sono tornati dunque via web o telefonici.

Lecito è allora chiedersi come stanno, in questo momento, i nostri anziani: nonni, genitori, mogli, mariti. La Fondazione Ca’ d’Industria di Como ha cercato di offrire qualche risposta ai familiari con il supporto della dott.ssa Luciana Quaia, psicologa gerontologa, attraverso una conferenza tenutasi in streaming di cui condividiamo alcuni dei passaggi più interessanti. Innanzitutto, il contesto: da questo punto ha preso le mosse l’analisi della dott.ssa Quaia. Un contesto diffuso di incertezza in cui tutti siamo immersi, e di cui tutti portiamo il peso.

Tante le ragioni di questa incertezza, sintetizzabili dalla dott.ssa Quaia in 5 “i”: l’invisibilità del nemico che ci troviamo a fronteggiare oggi; l’isolamento a cui ci costringe; l’ignoranza che ci accompagna, nel senso della scarsa conoscenza di cui oggi disponiamo nei confronti di questo nemico; il senso di imponderabilità che si genera dal non riuscire ancora a comprendere perché alcune persone, a causa del Covid, si ammalano fino a morirne, altre ne sono toccate solo superficialmente e altre ancora nemmeno se ne accorgono, indipendentemente dall’età; l’ultima “i” si lega all’imprevedibilità del futuro che verrà… Credevamo di aver superato il momento più tragico ed eccoci qui, di nuovo rinchiusi, alle prese con le vecchie paure…

Dentro questo “magma” di preoccupazione diffusa ecco che l’ansia cresce ancora se guardiamo ai nostri anziani, la cui fragilità li espone, come detto, a rischi molto alti.

Per non lasciarsi travolgere occorre affidarsi alla ricerca di qualche aspetto positivo. Passaggio non semplice, ma che può essere d’aiuto per guardare con maggior fiducia alla condizione dei propri cari isolati nelle RSA.

«La separazione dalle relazioni – continua la dott.ssa Quaia – aumenta la possibilità di stati psicologici negativi (depressione, ansia, senso di abbandono, ipocondria). Fortunatamente negli ambienti protetti (come appunto le Rsa, ndr) non sono presenti sintomi campanello di gravi depressioni (inappetenza, con relativo rischio di denutrizione, rifiuto di alzarsi dal letto, con relative conseguenze sul trofismo muscolare, apatia, desiderio di morte)».

Restando sulla connotazione positiva di questi spazi protetti: «Sul fronte sanitario anziani, operatori e spazi ambientali sono super vigilati e monitorati attraverso l’applicazione periodica di tamponi e continua sanificazione della struttura: i dati epidemiologici ci spiegano che ora è il domicilio ad essere il luogo più pericoloso per la diffusione del virus, perché l’anziano inevitabilmente ha più contatti con i familiari, i quali a loro volta hanno rapporti con la vita esterna e quindi potenzialmente possono diventare fonte di contagio. Nelle Rsa inoltre qualsiasi controllo sanitario viene espletato direttamente dal personale medico e infermieristico, senza necessità di prenotazioni o spostamenti che, all’oggi, risultano difficoltosi da effettuare».

Un ulteriore aspetto a cui forse prestiamo poca attenzione in questo periodo riguarda le risorse di cui i “nostri” anziani dispongono. «La pazienza – continua la dott.ssa Quaia – spesso è una dote intrinseca della persona che invecchia: i nostri anziani hanno un’incredibile capacità di autocura, perché l’esperienza della loro lunga vita li ha già sottoposti all’incontro delle perdite, sia nel corpo sia negli affetti, eventi che hanno comportato un continuo lavoro di ristrutturazione della propria condizione per non soccombere alla tragedia del dolore, mentre rispetto alle persone con decadimento cognitivo, a proteggerle è proprio la malattia, che li costringe a un disorientamento nel tempo e nello spazio e impedisce quindi di memorizzare i tempi di assenza fra un incontro e l’altro con i familiari».

Ma alla fine, che cosa può fare, nel concreto, un familiare per il proprio congiunto ricoverato in Rsa?

Questi, in sintesi, i suggerimenti della psicologa:

  • Fortunatamente la tecnologia ha già permesso di trovare una parziale soluzione al pesante sacrificio della separazione fisica, grazie all’adozione dei contatti tramite videochiamate. Sempre in campo tecnologico, pur essendo pochi gli anziani che ne possono usufruire (a causa della condizione fisica), per coloro che amano la lettura/musica e hanno la capacità di usare facili strumenti elettronici, possono essere utili lettori cd portatili per l’ascolto degli audiolibri o delle musiche preferite.
  • Nelle conversazioni cercare di raccontare la propria vita quotidiana con riferimento a piccoli fatti positivi da condividere riguardanti la cerchia familiare (lavoro, nipoti, animali, cucina).
  • Trasmettere le proprie emozioni senza temerne la commozione (mi manchi, mi dispiace che questo brutto periodo continui, quando penso a ciò mi sento triste): l’anziano ha bisogno di sentirsi ricordato e amato e può, a sua volta, esprimere i propri sentimenti.
  • Ricordare qualche particolare momento significativo del proprio passato, magari recuperando qualche foto; ipotizzare piccoli progetti (l’acquisto di un particolare accessorio, trascorrere qualche minuto in occasione di una certa ricorrenza tipo compleanno, laurea di un nipote, ecc.).
  • Ricordare infine che anche gli operatori e i dirigenti della RSA stanno attraversando un periodo di travaglio fortissimo: accanto ai fattori indicati si aggiungono la responsabilità di proteggere i propri ospiti e di rispettare con maggior rigore le varie disposizioni volte a contenere i contatti interpersonali. Per chi inoltre svolge ruoli direttivi si sommano altri problemi: garantire la sicurezza con i dispositivi adeguati, prevedere l’adeguata assistenza se dovesse scarseggiare il personale, far quadrare i conti. In tal senso diventa imperativo fare proprio il sentimento della solidarietà: pur nella consapevolezza che il rapporto con il proprio caro è unico, il tempo va calibrato con un sistema organizzativo complesso. Nella certezza che se qualcosa non va, il personale curante avverte immediatamente il familiare, cercare di contenere le richieste non prioritarie, che automaticamente sottrarrebbero tempo prezioso alla cura e all’assistenza degli ospiti».

Trovate il testo completo sul Settimanale di questa settimana.