Sono passati due mesi dall’uccisione di don Roberto Malgesini avvenuta il 15 settembre scorso a Como. Oggi, Giornata mondiale dei poveri, lo vogliamo ricordare con le parole di don Roberto Bartesaghi, suo compagno di messa.

Il tempo passa in fretta. Sono già trascorsi due mesi dalla barbara uccisione di don Roberto e l’impressione è di non essere ancora riusciti neanche a capire bene che cosa sia successo.

Personalmente, aver perso un carissimo amico, un fratello nel sacerdozio, mi ha lasciato un vuoto che non so ancora neanche pensare come si possa colmare. Sento sempre forte la perdita di quella complicità che ci permetteva di confrontarci spesso, pressoché quotidianamente, e di vivere insieme il nostro sacerdozio, pur in modalità e luoghi molto distinti, arricchendoci reciprocamente nella condivisione della diversità del nostro stile di vita. Eppure questi mesi sono stati fondamentali per riconoscere quanto don Roberto sia stato importante nel generare un po’ anche me. E ritrovo in me dei tratti di attenzione verso gli altri, di capacità di ascolto e di condivisione che sento interiorizzati profondamente, ma insieme percepisco come un’eredità che don Roberto mi ha lasciato.

Così intuisco che questi mesi non possono che essere stati fecondi anche per tutti gli altri che hanno condiviso almeno un tratto di strada con don Roberto. Prima c’è stata certamente la tristezza e il dolore per la tragedia e insieme la fatica enorme del distacco. Poi è venuto il tempo della riflessione, quello in cui ricordare e ripensare la vita e l’insegnamento di don Roberto, per comprenderne sempre meglio lo stile e riconoscere l’originalità vera della sua persona e della sua testimonianza.

Nel frattempo le attività che don Roberto seguiva sono proseguite grazie ai numerosi volontari che già le sostenevano e le avevano fatte proprie. Ed è emerso che il vero vuoto, grande, non è nella mancanza di un uomo che realizzasse delle opere, ma piuttosto di un sacerdote che sapeva farsi padre per gli ultimi, per i più abbandonati, in comunione con tante persone, più o meno consapevoli di fare parte della grande famiglia di Gesù. È proprio questo vuoto che ci insegna come ciascuno di noi può raccogliere l’eredità di don Roberto e farla diventare tesoro per la nostra Chiesa diocesana.

È l’invito per tutti ad imparare ad avere a cuore la persona che si ha di fronte, provando a mettere l’altro al primo posto, chiunque egli sia. E soprattutto imparare a farlo, riconoscendo nell’altro la presenza di Cristo, in particolare nei poveri che don Roberto, riprendendo papa Francesco, chiamava “carne viva di Cristo”. A chi collaborava con lui, don Roberto chiedeva di mettersi a disposizione del povero, vivendo ogni servizio come una preghiera, perché prestare servizio a un povero è rendere lode a Dio.

È l’invito per noi preti a riscoprire un modo più immediato di stare a contatto con gli uomini e con la drammaticità della loro vita, modo fatto di vicinanza, di ascolto e di semplicità. Ed è anche l’invito a pensare, come presbiterio unito al Vescovo, come proseguire il ministero concreto avviato da don Roberto, nella consapevolezza che non potremo replicare il suo stile unico, ma che sarà un’ulteriore ricchezza proseguirlo con sensibilità e modalità nuove.

È bello che a due mesi dalla morte, proprio lo stesso giorno coincida con la Giornata Mondiale dei poveri. E tante frasi del messaggio di papa Francesco per questa occasione (per coincidenza pubblicato proprio il 13 giugno 2020, 22° anniversario della nostra Ordinazione Sacerdotale) sembrano richiamare proprio lo stile di don Roberto.

A questo link è possibile scaricare i materiali di animazione della Giornata mondiale dei poveri

La preghiera a Dio e la solidarietà con i poveri e i sofferenti sono inseparabili. Per celebrare un culto che sia gradito al Signore, è necessario riconoscere che ogni persona, anche quella più indigente e disprezzata, porta impressa in sé l’immagine di Dio.

Non si tratta di spendere tante parole, ma piuttosto di impegnare concretamente la vita, mossi dalla carità divina. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per invitarli a partecipare alla vita della comunità. È vero, la Chiesa non ha soluzioni complessive da proporre, ma offre, con la grazia di Cristo, la sua testimonianza e gesti di condivisione.

Anche un sorriso che condividiamo con il povero è sorgente di amore e permette di vivere nella gioia. La mano tesa, allora, possa sempre arricchirsi del sorriso di chi non fa pesare la propria presenza e l’aiuto che offre, ma gioisce solo di vivere lo stile dei discepoli di Cristo.

Forse il modo migliore per ricordare in questo giorno don Roberto è quello di interrogarci su come ciascuno di noi possa farsi vicino ai poveri, suoi amici e compagni di vita.

don Roberto Bartesaghi