«Dad o non Dad questo è il problema», verrebbe da dire parafrasando Shakespeare. Ma, come ci spiega in questa intervista Michela Nessi, psicologa e psicoterapeuta, impegnata dal 2014 con la Cooperativa “Il Manto” (nata da Cometa) nello sportello di ascolto rivolto agli studenti del Liceo Paolo Giovio, non è solo una questione di pro e contro della didattica a distanza perché la realtà che stanno vivendo i nostri adolescenti è ben più complessa.
Dottoressa Nessi, come funziona lo sportello in questi mesi di didattica a distanza?
«Gli incontri con gli studenti avvengono on-line sulla stessa piattaforma utilizzata per la didattica. I ragazzi si iscrivono tramite il sito della scuola e successivamente viene fissato un colloquio. Negli ultimi tre mesi sono arrivate richieste da 20 studenti e, per ciascuno di loro, si sono svolti più incontri (fino ad un massimo di quattro). Si tratta di un’opportunità, secondo me molto importante per gli adolescenti, perché punta alla promozione del loro benessere psicologico a scuola. Chi vi si rivolge non necessariamente deve avere problemi perché l’obiettivo del confronto è soprattutto quello di verificarsi, capire che cosa lo sta ostacolando sia nell’apprendimento che nel vivere le relazioni. Ovviamente in presenza di ragazzi o ragazze con problemi più seri procediamo con l’accompagnamento a percorsi e servizi presenti sul territorio».
Ha notato delle differenze nella tipologia studenti che chiedono un colloquio rispetto al passato?
«L’età è decisamente più bassa con una prevalenza per gli studenti dei primi due anni che in passato erano quasi assenti. Sono forse le classi più colpite dalla chiusura delle scuole perché si sono trovati in una realtà sconosciuta, con nuovi compagni e professori, ma senza aver avuto il tempo per costruire relazioni. Questo crea delle difficoltà che non si ripercuotono tanto nella didattica ma più in profondità, nella costruzione di sé. Pensate ad esempio alle difficoltà di un adolescente che vive la fatica di accettare la sua immagine ed è costretto ad averla sempre davanti, impressa nello schermo della video lezione».
Cosa emerge dai colloqui con loro?
«Se nel primo lockdown il tema dominante era quello della paura del contagio, adesso emerge molto di più la demotivazione. Nel ventaglio di emozioni che normalmente compongono la vita di un adolescente oggi dominano il nero e il grigio, avverto tanta noia e la mancanza di qualcosa che realmente appassioni. Questo può portare anche a disturbi d’ansia e del sonno»Non mancano anche fenomeni più gravi?«Il termine disturbo non l’ho inteso in senso patologico, ma più di fatica. Personalmente non ho constatato casi gravi, ma c’è una ricca bibliografia scientifica di studi, condotti nell’ultimo anno, che evidenziano un calo generalizzato e preoccupante nel livello di benessere degli adolescenti e una crescita non solo dell’ansia, ma anche degli attacchi al corpo (nelle molteplici espressioni: dai disturbi alimentari ai tentativi di suicidio) e al sé».
Allo sportello, come spesso accade, si è rivolta solo una piccola parte degli studenti della scuola. C’è la preoccupazione che anche tutti gli altri stiano vivendo lo stesso disagio?
«Certamente, perché quello che il lockdown va a toccare è l’essenza stessa dell’adolescenza fatta di sfida (in senso positivo) al limite, al gruppo, all’adulto. Pensate cosa voglia dire per un adolescente l’uscire di casa, scegliersi un gruppo di appartenenza, scoprire il mondo senza il filtro dei genitori. Un percorso che porta a capire chi sono e che fa parte del bisogno evolutivo di ogni persona. Per questo credo sia importante capire che questo processo non possa essere messo in pausa, ma deve trovare strade e modi nuovi di concretizzarsi».
In questo la Dad, per quanto necessaria, certamente non aiuta…
«È innegabile che con la Didattica a distanza non solo agli studenti, ma anche ai professori manchi un pezzo: la relazione. Dall’altra parte non si può dire che la Dad sia sbagliata in assoluto: mi auguro che, una volta passata la pandemia, non si torni alla scuola di prima, dimenticando le tante cose positive, in termini di utilizzo delle tecnologie, apprese in questi mesi. Questa rappresenterà soprattutto una sfida per noi adulti».
Senza entrare nel merito delle decisioni del governo come la scuola, la famiglia, la parrocchia e, in generale, il mondo degli adulti potrebbero aiutare gli adolescenti a sopperire ai limiti della scuola on-line?
«Innanzitutto dovremmo avere il coraggio di essere capitani esperti e navigati che si prendono le responsabilità. Per un adolescente è disorientante sentirsi chiedere dagli adulti il sacrificio della didattica a distanza mentre altri adulti, magari in casa propria, si lamentano perché “tanto non serve a nulla e si poteva stare aperti”. Questo non fa che frustrare ulteriormente una fatica che i ragazzi stanno facendo togliendo il significato al loro sforzo. In secondo luogo gli adolescenti devono essere rimessi al centro. Loro ci stanno provando, creando nuove occasioni di protagonismo: al Giovio si sono inventati Gioviocast un canale instragram dove fanno interviste, c’è chi fa musica, chi porta la spesa ai vicini anziani. Noi adulti non possiamo togliere loro la fatica, ma possiamo spronarli ad essere attivi quanto prima, solo in modi nuovi».