Chi passava per Grandate o abitava nei dintorni del monastero, mercoledì 9 febbraio ha sentito verso le 11 del mattino, un festoso scampanio. Ma come mai nel monastero delle Benedettine hanno suonato le campane a un’ora così insolita? La risposta: sono arrivate le consorelle del monastero di Gallarate! Abbiamo chiesto alla Priora di Gallarate, madre Maria Emanuela Pobbiati, di raccontarci qualcosa di questo avvenimento.

Eravate attese per la festa di Santa Scolastica, il 10 febbraio, come mai siete arrivate il giorno prima e quasi in incognito?
«Sì, volutamente è stato un ingresso non solenne, ma significativo. La cerimonia di accoglienza è stata vissuta in modo molto riservato perché, pur comprendendo i motivi di gioia per il nostro arrivo, noi abbiamo lasciato alle spalle il nostro monastero chiuso e ci è quindi sembrato giusto dare solo una valenza spirituale a questo momento. Siamo state accompagnate da don Andrea Scaltritti, un giovane sacerdote della nostra diocesi di Milano, molto legato al nostro monastero. Giunte al cancello, siamo state accolte dalla madre Priora locale, madre Carlamaria Valli e, insieme a lei, siamo salite alla chiesa dalla rampa di accesso che parte dal piazzale. Madre Carlamaria portava il crocifisso che era appeso nel nostro coro monastico, io e una mia giovane sorella una statua della Madonna che era stata portata al monastero di Gallarate dal monastero di Ghiffa quando, nel 1965, Gallarate era stato aperto.

Per noi Benedettine del Santissimo Sacramento, Maria Santissima ha il ruolo di Abbadessa, è lei dunque che guida il nostro cammino dietro a Cristo. In coro, oltre la grata, ci attendevano le sorelle grandatesi e, varcata la soglia, siamo state accompagnate ai nostri posti. Per una monaca il posto in coro non è solo un sedile su cui poterci accomodare per pregare, ma è la postazione della sentinella, che veglia in colloquio con Dio. Quando siamo riunite insieme per celebrare la liturgia delle ore siamo la Chiesa che prega, siamo voce di tutti anche di chi non ha voce. Dopo un breve momento di preghiera, don Andrea ci ha rivolto il suo augurio per un cammino comune fondato sull’amore di Dio e sulla carità fraterna, che ci rende “uno” in Cristo e si alimenta nell’Eucaristia. Poi in processione ci siamo recate nel corridoio delle nostre celle che don Andrea ha benedetto. L’accoglienza ufficiale è avvenuta il giorno di santa Scolastica quando, durante la Santa Messa delle 9.00 il cappellano del monastero, mons. Enrico Bedetti, ci ha presentate e ci ha comunicato la vicinanza del vescovo di Como e del parroco di Grandate. Anche il sindaco di Grandate ci ha onorate con la sua presenza in rappresentanza di tutta la popolazione. Davvero tanti sono stati i segni di benevolenza e di stima che abbiamo ricevuto».

Sarà stato doloroso lasciare il vostro monastero. Come siete arrivate alla decisione di chiudere? Ce ne vuole parlare?
«Non è stata una decisione che si prende a cuor leggero. Ci siamo rese conto che diminuendo di numero, si rischiava di rendere la nostra vita solamente funzionale al tenere aperta la chiesa e operativa la casa, ma di essere poco coerenti con la nostra vocazione monastica in cui la preghiera, l’adorazione eucaristica e la liturgia devono avere il primato su tutto il resto. Non presentandosi all’orizzonte nuove vocazioni, abbiamo deciso di unirci alle nostre sorelle di Grandate per poter continuare a vivere la nostra vita monastica in pienezza. Da quando abbiamo dato la notizia del trasferimento, tante persone a Gallarate ci hanno dimostrato la loro vicinanza e abbiamo constatato che pur non avendo particolari attività, la nostra comunità con la sua sola presenza di preghiera, nel cuore di una città, era una realtà da cui molti hanno ricevuto del bene. C’era chi veniva a confidare le proprie pene, chi a chiedere una preghiera per i propri cari; oppure il semplice entrare in chiesa e trovare qualcuno in adorazione era per molti entrare in contatto con Dio. Anche il sacerdote che ci ha accompagnate ha ricordato con commozione come per lui e per alcuni confratelli, il monastero di Gallarate sia stato un punto di luce nel discernimento vocazionale e un punto di forza nel vivere il ministero sacerdotale».

Per voi il trasferimento ha comportato anche un cambio di Diocesi. Come lo vivete?
«Effettivamente…Il cambiamento è grande soprattutto perché passiamo dal Rito Ambrosiano a quello Romano e le differenze, soprattutto per quel che riguarda l’anno liturgico e la celebrazione Eucaristica, non sono poche. Ma è Cristo stesso che ci assicura che la Chiesa è sua e questo annulla ogni distanza e diversità perché in Lui siamo uno. E in questa unità in Cristo, vogliamo fondare la comunione fra le nostre due comunità».

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