Una testimonianza da Kiev è giunta nei giorni scorsi, alla nostra redazione, da padre Pavlo Vyshkovskyy, missionario oblato, parroco di san Nicola, una delle cinque parrocchie romano-cattoliche della capitale ucraina. La chiesa di san Nicola ha una storia di dolore alle spalle. Fu pesantemente danneggiata durante la Seconda Guerra Mondiale e. da decenni, è amministrata dallo Stato.
Dopo lunghe trattative, il ministero della Cultura, a ottobre 2021, ha approvato la completa restituzione della cattedrale – la seconda chiesa cattolica più antica di Kiev, dopo quella di Sant’Alessandro – ai fedeli cattolici. Qui, come detto, svolge il suo ministero pastorale, padre Pavlo, che si è laureato a Roma, nel 2006, con una tesi sul martirio della Chiesa cattolica in Ucraina durante il regime comunista. Negli anni di studio in Italia padre Pavlo ha conosciuto Paolo Bustaffa, allora direttore dell’Agenzia di informazione cattolica Sir e oggi coordinatore della Consulta delle Aggregazioni laicali della diocesi di Como.
Il messaggio di padre Vyshkovskyy ci è giunto proprio attraverso Paolo Bustaffa che, in diverse occasioni, ha incontrato il sacerdote a Kiev, dove il missionario oblato era anche direttore del Centro mediale cattolico. Padre Pavlo, fra mille difficoltà, ci ha scritto dallo scantinato della sua parrocchia, trasformato in bunker per sé, per gli altri sacerdoti della comunità e per tutte le persone che non hanno un posto dove stare.
«Quando è iniziata la guerra, la chiesa si è trasformata in luogo di preghiera e di aiuto, ma quelli che possono ora cercano di fuggire da Kiev. Stiamo aiutando specialmente le mamme con i loro bambini, cerchiamo di fare loro passare il confine in Polonia, troviamo loro dei rifugi sicuri, i mariti invece, nostri parrocchiani sono corraggiosamente a difendere Kiev. Nei giorni scorsi, mentre era in vigore il coprifuoco, sono venuti da noi per ricevere Gesù nella Santa Comunione. Noi siamo qui, per fare tutto ciò che possiamo, non solo per i nostri fedeli, ma per chiunque ne abbia bisogno anche soltanto di parole di conforto, di speranza e coraggio», scrive padre Pavlo Vyshkovskyi – OMI.