Don Renzo Scapolo, costruttore di ponti”. Sabato 1°ottobre il Comune di Valmorea e l’associazione Sprofondo si sono resi promotori di un tributo speciale al sacerdote che fu parroco di Caversaccio dal 1983 al 1995, lasciando un segno indelebile nei cuori di questa piccola-grande comunità. Dopo la celebrazione dalla S. Messa alle ore 16, all’aperto, è infatti prevista l’intitolazione al sacerdote comasco del “Parco dell’accoglienza”, contestualmente all’inaugurazione del murale dell’artista Vittorio Mottin. Seguirà, alle 17.30, presso l’atrio della scuola primaria “Bruno Munari”: “Uniti, diversi, uguali, aperti”, un incontro pubblico sulla vita di don Renzo. E quindi l’apertura di una mostra fotografica presso l’atrio della scuola secondaria “Giovanni da Milano” con rinfresco etnico. Mostra che sarà aperta al pubblico anche domenica 2 ottobre dalle ore 9 alle ore 12, presso la scuola secondaria, e da lunedì 10 ottobre presso la biblioteca di Valmorea, durante gli orari di apertura della biblioteca. Trovate qui la locandina con il programma.

Per celebrare questo appuntamento, e mantenere viva la memoria di don Renzo la Commissione cultura del Comune di Valmorea e l’associazione Sprofondo hanno realizzato anche un libretto in cui sono condensati i passaggi più significativi della vita del sacerdote. Un vero e proprio “viaggio del cuore”.

Chi era don Renzo? Difficile definirlo o inquadrarlo. Meno complesso, forse, raccontare chi non era. Non era una persona che amava girarsi dall’altra parte; non era un uomo, un prete, indifferente; non era qualcuno che non voleva sporcarsi le mani. C’è una frase che ne disegna bene la figura. La ricorda, nel libretto-memoriale Eugenio Girola, membro del consiglio direttivo di Sprofondo: “Ricordo una discussio-ne sui limiti concreti e sugli obiettivi rispetto a parametri, modi e tempi dell’accoglienza; la sua risposta non ammetteva repliche: “Nella tua casa c’è sempre un letto per accogliere: il tuo”. Questo era don Renzo e credo che quanti ab-biano avuto la fortuna di incrociarlo, conservino indelebili nella memoria e nel cuore suoi aneddoti, battute e insegnamenti da raccontare».

 Don Renzo Scapolo in un’immagine di fine Anni ’70

Il viaggio dentro la vita di don Renzo parte dal ricordo di Gemma ed Enrico Tavasci, che ne descrivono le origini, le scelte, gli spostamenti, tanti. Ad emergere è l’immagine di un sacerdote determinato, votato alla carità. “A sé stesso – lo ricordano Gemma ed Enrico – e ai suoi collaboratori chiedeva sempre di più. Non ponderava le sue forze e la prudenza non era la sua virtù preferita; non accettava mediazioni o mezze misure e guardava sempre oltre con lo stile dei profeti. Il Vangelo non lo commentava soltanto, lo declinava con verità e giustizia e lo attualizzava. Amava col cuore, ma preferiva con le mani”.

Quelle mani sempre protese verso l’altro, pronte ad accoglierlo, sollevarlo e accompagnarlo lungo la strada. Così è stato lo stile di don Renzo che estenderà oltre i confini della sua parrocchia, “educando – scrivono Gemma ed Enrico – tutti ad aprire lo sguardo e il cuore sulle realtà e sui problemi del mondo intero”. “Aveva sempre una marcia in più rispetto alla sua comunità – continuano – e rispetto agli stessi amici e compagni di viaggio, confratelli compresi, che spesso poneva di fronte al fatto compiuto, costringendoli, obtorto collo, a condividere le sue scelte. Definendosi un padre che abbandonava i propri figli appena procreati, inseguiva idee a frotte e produceva progetti che lasciava nelle mani dei suoi collaboratori, indotti e quasi obbligati ad assumersi responsabilità e impegni…

Innumerevoli i progetti, le testimonianze di vita, che hanno avuto don Renzo ideatore e protagonista nei diversi ambiti in cui ha saputo portare la sua esperienza: dalla missione diocesana in Argentina, alle parrocchie in cui è stato vicario, collaboratore e parroco (Camerlata, Muggiò, Caversaccio), dall’accoglienza ai profughi alle bombe di Sarajevo. Impossibile azzardare un elenco, o abbozzare anche solo una sintesi. Quel che resta è lo stile, una testimonianza che ancora vive. Come ben evidenzia la testimonianza di don Giusto Della Valle, responsabile diocesano per la Pastorale dei migranti, parroco di Rebbio.

Nell’evolversi della storia e messi di fronte a sfide globali sempre più complesse – scrive don Giusto – spesso penso a don Renzo e ai suoi insegnamenti, chiedendomi cosa farebbe lui, qui ed ora, al nostro posto.

Don Renzo ci ha insegnato:

– ad andare, come il buon Pastore, a cercare le persone, a mettersi dentro la storia realizzando l’Incarnazione al servizio della quale Don Renzo ha messo la sua fantasiosa e brillante creatività. L’intuito e la decisione di don Renzo, virtù di pochi, gli hanno permesso di arrivare qualche decina d’anni prima di noi a capire le realtà e a tentare di trovare risposte adeguate.

– Ci ha insegnato a fare chiasso. Di sé e di don Renzo Beretta (parroco di Ponte Chiasso, ucciso nel 1999 da un migrante) diceva “Noi due ci mettiamo insieme: tu fai il Ponte e io il Chiasso”: un chiasso creativo il suo! Stare zitti è peccato.

– I politici italiani oggi – tutti – non affrontano seriamente la “questione migratoria” solo per calcolo elettorale e per timore di non essere votati di fronte a una proposta politica di ampio respiro. Quanti voti si perdono o si guadagnano proponendo lo jus soli o i respingimenti?

– Don Renzo nel fare chiasso ha creato tanti ponti, tanti legami ovunque si trovasse.

– Ci ha trasmesso il coraggio di osare senza calcoli seguendo la propria coscienza. Ha insegnato infine a tutti la fedeltà a sé stessi e la consapevolezza che si possono fare bene alcune cose senza pretendere il tutto, che è sinfonia di tanti strumenti. Don Renzo era come la tromba, a volte solitaria nel silenzio e nell’indifferenza generale, che suonando per primo dava il via al concerto, attirando altri strumenti per suonare la musica della convivialità e della giustizia. Auguro che questi spunti possano servire per affrontare oggi le sfide complesse del movimento dei popoli, per essere pronti ad “accogliere, proteggere, promuovere e integrare le persone migranti”, come ci invita a fare papa Francesco (“Fratelli tutti”- 129).”