A Milano quest’oggi 21 marzo – primo giorno di Primavera – si tiene la XXVIII Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie promossa dall’Associazione Libera. In occasione di questa giornata vi proponiamo la testimonianza di Paolo Setti Carraro pubblicata su Il Settimanale in uscita.

Ci sono percorsi che durano una vita intera, che richiedono costanza e impegno, spesso silenzio e rispetto dei tempi che necessitano, e che possono portare a risultati inaspettati ma fondamentali.
Inaspettati perché possono nascere laddove sembrerebbe esserci solo spazio per rabbia, dolore e vendetta, fondamentali perché aprono nuove prospettive di speranza e di giustizia per il futuro.

La storia di Paolo Setti Carraro è uno di questi percorsi: la vita di medico di lungo corso, che ha alternato la vita in corsia all’impegno all’estero con Medici Senza Frontiere, ha dovuto fare i conti con la violenza mafiosa, più di 40 anni fa. L’omicidio della sorella, Emanuela Setti Carraro, moglie del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, rimasti uccisi nella strage di via Carini, a Palermo, nel 1982, insieme all’agente di scorta Domenico Russo, è stato uno scoglio contro il quale si è scontrata la quotidianità della sua famiglia e delle loro vite.
Il percorso è stata una presa di coscienza di 30 anni, nei quali, per usare le sue stesse parole, si è chiuso in un “congelamento emotivo”, incapace di reagire al dolore e di trovare, non tanto un senso a quanto accaduto, quanto uno stimolo ad andare avanti.

“L’odio non genera niente, ti consuma, è sterile e nulla di più”. Una affermazione solo apparentemente banale: è invece una svolta rendersene conto. Non tutti i famigliari di una vittima compiono lo stesso percorso, dipende dalle situazioni, dalle storie anche processuali, dal carattere di ciascuno, per qualcuno può venire naturale, per altri può essere uno scoglio insormontabile. Per Paolo Setti Carraro è stata la svolta che ha segnato questi ultimi anni di vita e di impegno. Con altri familiari di vittime della criminalità organizzata, ha partecipato a un percorso del Centro per la giustizia riparativa e la mediazione penale del Comune di Milano e del “Gruppo della trasgressione”: progetto diretto a stimolare la riflessione sulla rieducazione dei detenuti dentro e fuori dalle carceri. Una scelta che l’ha portato a incontrare molti condannati e a intraprendere con loro percorsi di incontro e confronto che sono arrivati ad essere rapporti di conoscenza reciproca e di rispetto, nella prospettiva – centrale per l’idea di giustizia riparativa – che di fronte si ha un altro essere umano, con una vita ed esperienze di cui bisogna avere rispetto.

Leggi a questo link l’elenco completo delle vittime innocenti delle mafie

Di tutto questo si è parlato nella serata di giovedì 16 marzo, presso il cinema Astra, in un evento organizzato dal “Tavolo della giustizia riparativa” promosso da CSV dell’Insubria, dall’ATS Comasca e Lariana e da Il Gabbiano onlus, realtà da tempo impegnate su questi temi. La serata è stata anche uno dei “cento passi verso il 21 marzo” promossi dal coordinamento provinciale di “Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”: una serie di appuntamenti e approfondimenti in vista della XXVIII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti di tutte le mafie che ha avuto nella manifestazione nazionale di martedì 21 marzo il suo culmine.

Uno scatto della manifestazione di quest'oggi a Milano

Don Luigi Ciotti, dal palco della manifestazione a Milano. Foto Stefano Tosetti

La serata è stata una conversazione continuamente alternata tra l’esperienza personale di Paolo Setti Carraro e una riflessione più generale sui temi della giustizia riparativa, il ruolo e le fatiche dei famigliari delle vittime delle mafie, la necessità e le difficoltà del lavoro nelle carceri e con i detenuti, senza tralasciare gli aspetti “scomodi” a cominciare dall’accettare le contraddizioni della legislazione sui pentiti, che riconosce benefici in cambio di un pentimento legato però alla fattiva collaborazione con gli inquirenti piuttosto che con un percorso di reale cambiamento rispetto alla propria vita criminale. La strada della giustizia riparativa si differenzia anche in questo: nell’incontro con l’altro, tra vittima e reo, e con il riconoscimento e il rispetto della vita dell’altro in un contesto che non può prescindere da una autentica volontà di ascolto (da parte della vittima) né da una autentica volontà di cambiamento (da parte del colpevole). È una dimensione che non ha nulla a che fare con il “perdono” (sul quale spesso si accaniscono la curiosità e le domande dei giornalisti all’indomani di eventi anche cruenti) che è un gesto squisitamente personale e volontario da parte della vittima, ma piuttosto riguarda la consapevolezza che dietro ad ogni gesto violento, anche efferato, si genera una ferita che colpisce non solo il singolo, ma che costituisce anche uno strappo alle regole di vita civile della collettività. Riparare questa ferita è un percorso lento, tortuoso e accidentato: il risultato non è scontato ma intraprenderlo è uno sforzo sempre più necessario.

Stefano Tosetti
referente Libera Como

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