È terminato lo scorso 15 aprile a Sondrio Progetto Betlemme, risposta concreta della città al problema – relativamente nuovo – dei senza fissa dimora nelle sere invernali. Esperienza più che rodata in diverse parrocchie del Comasco, per il capoluogo ha costituito una vera novità. O, meglio, una sfida, lanciata a metà gennaio dall’arciprete don Christian Bricola, che fin da subito ha visto il coinvolgimento di parecchie persone sensibili alla tematica.

Durante l’emergenza freddo, la presenza di clochard per le strade della città – unita alla mancanza di posti letto nelle strutture già operative, il Centro di prima accoglienza Padre Gianni Nobili di via Parravicini e il container per le emergenze della Croce Rossa in via Aldo Moro – ha spinto la Comunità pastorale di Sondrio a interrogarsi su come agire nel concreto.

In sinergia con la Caritas diocesana, è stata individuata in un’aula dell’oratorio Angelo Custode la sede per il dormitorio, aperto tra gennaio e febbraio scorsi. In questi due mesi e mezzo di servizio, circa quaranta volontari hanno garantito in coppia ogni giorno l’apertura della struttura la sera e la chiusura al termine della notte, il mattino successivo.
Chiudere il dormitorio una decina di giorni fa «non è stata una scelta facile», ci spiega l’arciprete don Bricola. «Alcuni volontari, infatti, avrebbero voluto continuare ancora questo servizio. Adesso ci fermiamo qualche mese per verificare l’iniziativa e, sicuramente, in autunno ripartiremo».

Nell’ultimo periodo «abbiamo accolto stabilmente una persona, a cui se ne sono aggiunte via via di nuove, durante le settimane di apertura: in un caso, siamo arrivati anche a quattro ospiti. Per altri periodi, più o meno lunghi, ne avevamo due». In ogni caso, «non essendo il dormitorio custodito di notte, prima dell’ingresso gli operatori Caritas hanno sempre fatto un colloquio per valutare l’affidabilità delle persone».

Di sfida si parlava in apertura. E, sentendo il parere dei volontari, si può dire – senza tema di smentita – che l’obiettivo fissato inizialmente è stato pienamente raggiunto. Come spiegano loro stessi in una lettera inviata all’arciprete al termine dell’esperienza, «il dormitorio fa diventare la parrocchia più “casa” e “famiglia”. Una casa per chi viene accolto, così come per chi accoglie, un luogo semplice, ma caldo e accogliente, dove ci si incontra, ci si conosce, si stringono relazioni e c’è uno scambio di “bene” che è tipico delle famiglie».

Ripensando a Progetto Betlemme, i volontari ringraziano «perché questo servizio ci ha permesso di poterci sporcare un po’ le mani e di non restare più soltanto impotenti osservatori davanti a chi non ha un tetto sotto il quale andare a dormire». A tutti gli effetti, valore aggiunto del progetto è stato, «lo stile con cui si è cercato di stare insieme, che vale molto di più dei grandi numeri: la casa, la famiglia, non un “freddo” dormitorio. Questo fa la differenza».

In poche parole, «la parrocchia non punta a risolvere il problema sociale della povertà, ma si fa vicino a chi ha bisogno, o almeno ci prova, con lo stile di una mamma che ti prepara il letto pulito». Una bella testimonianza di Chiesa e di corresponsabilità.